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- Sanità veneta in grande affanno, Martella: «Basta tagli e disservizi»
Il Partito Democratico lancia una campagna per il diritto alla salute «La sanità pubblica veneta è in grande affanno e la responsabilità ricade sia sul Governo nazionale, che taglia risorse, sia sulla Regione, che resta immobile. Dai disservizi del CUP a reparti ospedalieri dipendenti dai medici a gettone, passando per liste d’attesa interminabili, la situazione è drammatica», denuncia Andrea Martella , segretario del Partito Democratico Veneto. Il Partito Democratico annuncia una campagna di denuncia e informazione davanti ai principali ospedali del Veneto, per dare voce a cittadini e operatori sanitari, seguendo l’esempio della campagna nazionale lanciata dalla segretaria Elly Schlein. «Denunceremo le carenze, ma valorizzeremo anche le attività e le eccellenze che vanno difese. È il momento di rilanciare la sanità pubblica e ascoltare chi vive ogni giorno le difficoltà di un sistema che sta implodendo», aggiunge Martella. Tra i casi più emblematici: il CUP di Mestre in tilt, con pazienti impossibilitati a prenotare visite anche urgenti. «L’esternalizzazione di servizi essenziali ha fallito: i cittadini non possono aspettare giorni, se non settimane, per essere richiamati da un centralino che non funziona. La Regione ha il dovere di intervenire immediatamente, assumendosi la responsabilità di appalti che portano a queste conseguenze. Perché è semplicemente intollerabile che i cittadini siano costretti a rinunciare alle cure», sottolinea Martella . Un altro esempio è il persistere dell’utilizzo di medici a gettone . «All’inizio dell’anno la Regione aveva promesso la riduzione, ma come confermato dagli stessi dati regionali questo non è avvenuto. I numeri sono rimasti uguali, e allarmanti: il 30% del personale nei Pronto soccorso veneti è costituito da professionisti esterni, con contratti precari che minano la qualità delle cure. I tagli e il blocco del turnover stanno impoverendo la sanità pubblica, lasciando interi reparti senza personale specializzato», evidenzia il segretario del PD Veneto. La situazione non potrà che peggiorare visto il quadro nazionale denunciato dalla Fondazione Gimbe: il finanziamento pubblico per la sanità scenderà al minimo storico del 5,9% del PIL entro il 2027. «Questi tagli significano meno medici, meno servizi e più disuguaglianze. Anche le Regioni più virtuose come il Veneto saranno costrette ad aumentare le imposte o a ridurre i servizi essenziali», avverte Martella. «La sanità pubblica veneta è sempre più a rischio di privatizzazione, con il 14,1% del fondo sanitario regionale già destinato ai privati e con la spesa che i veneti sostengono di tasca propria che supera i 700 euro all’anno pro-capite, fra le più elevate in Italia. Zaia continua a tagliare nastri per la propaganda, ma i cittadini si trovano a fare i conti con un sistema che arretra nella qualità e nell’accessibilità. Noi non accetteremo questa deriva». Il Partito Democratico Veneto rilancia la propria proposta: incremento strutturale dei fondi per la sanità, un piano straordinario di assunzioni per il personale sanitario e un modello di governance che ponga al centro il diritto alla salute. «La sanità pubblica è un bene comune e non può essere sacrificata. La nostra battaglia è chiara: difendere il diritto alla salute dei cittadini veneti», conclude Martella.
- Omicidio Marghera, Martella: «Sulla sicurezza il fallimento della destra è pieno»
«L’ennesimo efferato delitto, questa volta a Marghera, dimostra il fallimento del dogma securitario della destra, a Roma come a Venezia. La criminalità, la violenza e la marginalità non si fermano con gli slogan. Da tempo i residenti chiedono risposte concrete, ma queste non arrivano. Non è solo questione di uomini e mezzi per le forze dell’ordine: manca un progetto di città che tenga insieme centro e periferia, che sappia ricucire le fratture sociali e riassorbire nella coesione intere aree lasciate ai margini», dichiara Andrea Martella , segretario regionale del PD Veneto e senatore. Martella ricorda le recenti manifestazioni molto partecipate, come quella seguita all’uccisione di Giacomo Gobbato, in cui i cittadini hanno chiesto una città diversa, più sicura e inclusiva. «Quelle istanze sono state ignorate. La sicurezza deve essere intesa ad ampio spettro. Certamente è fondamentale l'aumento dei controlli e ancora di più del presidio del territorio, anche in funzione repressiva. Certamente servono maggiori risorse per le forze dell’ordine e migliori infrastrutture, come un’illuminazione pubblica più efficace. Ma tutto questo deve accompagnarsi a un vero progetto di rigenerazione urbana, con più servizi pubblici, a partire da quelli socio-assistenziali, e un coinvolgimento attivo del tessuto sociale, attraverso anche programmi di rilancio economico a supporto delle attività». Il senatore Martella annuncia un’interrogazione parlamentare per fare chiarezza sull’episodio di Marghera e per sollecitare risposte adeguate. «La destra alza la voce sulla sicurezza, ma le sue ricette continuano a fallire. Noi vogliamo attestarci sulla frontiera di una sicurezza che sia davvero vicina alle persone, costruendo città più inclusive e vivibili. È l’unica strada per uscire dalla paura e offrire ai cittadini soluzioni reali, non propaganda», conclude Martella.
- Violenza sulle donne, Martella: «Il patriarcato esiste, va combattuto e vinto»
«Nella Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne , ricordiamo Giulia Cecchettin a un anno dal suo tragico femminicidio e tutte le donne vittime di violenza e molestie. È un giorno per riflettere, ma soprattutto per agire. Nella lotta contro la violenza sulle donne, il cambiamento deve partire innanzitutto dagli uomini. Dobbiamo contrastare, fino a quando non sarà abbattuta, quella cultura patriarcale che alimenta discriminazioni, rapporti di potere asimmetrici e violenze. Questo richiede interventi su più fronti: dalla formazione degli operatori di giustizia, sanità e forze dell’ordine, all’educazione nelle scuole per promuovere una cultura del rispetto e dell’uguaglianza», dichiara Andrea Martella , segretario regionale del PD Veneto. Martella critica duramente l’assenza di azioni significative da parte del Governo: «L’Italia è uno dei pochi Paesi in Europa dove l’educazione sessuale e affettiva non è obbligatoria. Nonostante le promesse del ministro Valditara di un anno fa, le linee guida sull’educazione civica hanno eliminato ogni riferimento alla prevenzione della violenza di genere. Spendere risorse per prevenire la violenza sulle donne non è un costo, ma un investimento nel benessere collettivo, e riguarda l’intera società, non solo le donne». Il Partito Democratico ha presentato emendamenti alla Legge di Bilancio per affrontare con serietà la questione. Tra le proposte, il rifinanziamento del Piano strategico nazionale sulla violenza maschile contro le donne e del Fondo per le pari opportunità, per rafforzare la prevenzione, potenziare i Centri Antiviolenza e incrementare gli indennizzi per le vittime. Viene inoltre chiesto un aumento del Fondo per gli orfani di femminicidio, un segnale concreto di supporto a chi subisce le conseguenze più drammatiche della violenza. Martella sottolinea inoltre un altro pilastro della proposta del PD: l’emancipazione economica delle donne: «Non si tratta solo di garantire pari opportunità nel lavoro, ma di creare una società più equa. Un lavoro stabile non è solo uno strumento di crescita economica, ma il mezzo più efficace per spezzare la dipendenza economica e psicologica che spesso intrappola le vittime di violenza». «Cambiare è possibile, ma serve volontà politica e una visione chiara. Non possiamo accettare che un tema così cruciale sia sottovalutato o dimenticato. In Senato, vogliamo che si approvi al più presto la legge sulle molestie sessuali con l’aggravante dei luoghi di lavoro e di studio. Era pronto un accordo bipartisan per portarla in Aula oggi, ma la Lega sta facendo melina. E invece non dovremmo dividerci su leggi che servono a proteggere le donne dalla violenza maschile», conclude Martella.
- Autonomia differenziata: c’è molto da rifare
di Ivo Rossi e Alberto Zanardi La decisione della Consulta impone una revisione radicale dell’architettura della legge sulla autonomia differenziata. I rilievi toccano punti cruciali: dall’impossibilità di devolvere intere materie, alla questione dei Lep, al ruolo del Parlamento. Incostituzionali aspetti chiave della legge Con la decisione del 14 novembre sulla legge Calderoli in materia di forme particolari di autonomia, la Corte costituzionale ha fatto un gran botto. Certo, bisogna attendere il dettaglio della sentenza e certo rimane aperta la questione di come dare attuazione a una precisa previsione costituzionale che riconosce la possibilità di “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia” alle regioni ordinarie. Ma la decisione della Consulta impone una revisione radicale di tutta l’architettura dell’autonomia differenziata. In particolare, accogliendo una serie di rilievi sollevati nei ricorsi presentati dalle Regioni Puglia, Toscana, Sardegna e Campania ( vedi qui ) e in linea con le osservazioni avanzate da esperti e istituzioni come l’Ufficio parlamentare di bilancio e Banca d’Italia, la Corte ha riconosciuto l’incostituzionalità di una lunga serie di aspetti chiave della legge Calderoli. No alla devoluzione di intere materie La Consulta esclude innanzitutto la possibilità di devolvere in via differenziata intere materie di intervento pubblico (oramai famose le ventitré chieste da Luca Zaia ), o anche ambiti di materie ( vedi qui ), e spazza il campo da qualsiasi scenario di regionalizzazione in blocco di intere materie oggi in capo allo stato. Il trasferimento deve essere circoscritto a specifiche funzioni legislative e amministrative e motivato, in relazione alle peculiarità della singola regione, sulla base dell’effettivo miglioramento della “efficienza degli apparati pubblici” che dalla devoluzione dovrebbe derivare, coerentemente con il principio di sussidiarietà. La questione dei Lep A questo profilo è anche collegata la rilevata arbitrarietà della legge Calderoli laddove distingue “materie-Lep” e “materie-non Lep”, prefigurando percorsi di devoluzione separati. La Corte sostiene invece che bisogna guardare alle singole funzioni pubbliche di cui si chiede il trasferimento, senza contenitori preconfezionati, e verificare se ciascuna attenga a prestazioni concernenti i diritti civili e sociali e quindi richieda la determinazione dei relativi Lep. Incostituzionale è stato poi giudicato tutto l’impianto costruito dalla legge Calderoli per la determinazione dei Lep nelle materie in cui rilevano diritti civili e sociali. La determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni, e l’eventuale loro successivo aggiornamento, non possono essere affidati a meri decreti del presidente del Consiglio dei ministri, che escludono completamente il Parlamento da una decisione così essenziale per il disegno delle politiche pubbliche. E anche il conferimento di una delega legislativa al governo contenuta nella legge Calderoli, che attribuisce la determinazione dei Lep a decreti legislativi, è stata giudicata priva di idonei criteri direttivi, cioè una “delega in bianco”, e come tale da superare. Il ruolo del Parlamento La Corte accoglie poi un punto, sollevato da molte parti durante l’esame parlamentare della legge, secondo cui va riconosciuto un ruolo centrale e sostanziale al Parlamento nel processo di approvazione delle norme di riconoscimento delle maggiori competenze. L’apporto del Parlamento non può esaurirsi in un mero voto “prendere o lasciare” su accordi bilaterali governo-regione, ma deve prevedere la possibilità di emendare gli accordi. Anche sugli aspetti del finanziamento delle funzioni trasferite, la Corte esclude la possibilità di ricorrere, come fa la legge Calderoli, a un decreto interministeriale, e non invece a un atto di approvazione parlamentare, per rivedere periodicamente le aliquote di compartecipazione dei tributi erariali impiegati per finanziare le funzioni trasferite per garantire l’allineamento tra risorse e fabbisogni. È un passaggio critico e delicato per tutto il meccanismo di finanziamento e probabilmente la Corte teme che affidarlo a decreti interministeriali – che secondo l’impianto della legge Calderoli risulterebbero dal confronto bilaterale delle singole regioni con il governo nell’ambito di Commissioni paritetiche sul modello delle regioni a statuto speciale – possa comportare rischi per la tenuta dei conti pubblici ed eventualmente favorire una regione rispetto a un’altra ( vedi qui ). Sempre in tema di finanziamento, la Consulta sostiene che la valorizzazione finanziaria delle funzioni trasferite debba basarsi non sulla spesa attualmente sostenuta dallo stato nei territori delle regioni richiedenti (la cosiddetta spesa storica), ma su costi e fabbisogni standard. Dato che la legge Calderoli già prevede questo aggancio per le materie o funzioni Lep, l’intervento della Corte potrebbe essere interpretato come la necessità di estendere l’operazione di standardizzazione anche alle funzioni non-Lep. È necessario attendere il testo della sentenza per meglio approfondire il punto, e tuttavia va sottolineato che per le funzioni non-Lep è oggettivamente difficile pensare, sul piano tecnico, a una qualche forma di standardizzazione senza un riferimento nella legislazione che stabilisca specifiche prestazioni da fornire ai cittadini. La Corte chiarisce poi che le regioni ad autonomia rafforzata debbano, e non soltanto “possano”, contribuire agli obiettivi di finanza pubblica, al pari di tutti gli altri soggetti pubblici. Infine, secondo la Corte, va esclusa la possibilità di applicare l’autonomia differenziata, così come regolata dalla legge Calderoli, anche alle regioni a statuto speciale, che invece, per ottenere maggiori forme di autonomia, possono ricorrere alle procedure previste nei loro statuti. Per colmare i vuoti profondi che la pronuncia di incostituzionalità ha aperto nella struttura della legge Calderoli e che la rendono oggi di fatto inapplicabile, la Corte rimanda al Parlamento che potrà intervenire, ovviamente su iniziativa del governo, sempreché ritenga opportuno farlo, viste le divisioni interne della maggioranza su questi temi. Se il Parlamento riformulerà il testo della legge Calderoli lo dovrà fare in coerenza con i rilievi della Corte. Impresa non banale, vista l’ampiezza delle censure di incostituzionalità. Richiederà comunque l’abbandono di qualsiasi richiamo alla logica del “vogliamo tutto” e del “ci teniamo il nostro residuo fiscale”, che ha pesantemente condizionato e distorto la costruzione della legge Calderoli. Articolo originariamente pubblicato su LaVoce.info
- Un colpo di spugna sulle rivendicazioni delle regioni?
di Ivo Rossi e Alberto Zanardi I rilievi della Corte costituzionale sulla legge per l’autonomia differenziata segnalano i vizi di una interpretazione del regionalismo che mette al centro rivendicazioni prive di solidi ancoraggi. Bisogna tornare al modello di sussidiarietà. Trattative da fermare Quali ricadute avrà la decisione della Corte costituzionale in materia di autonomia differenziata sui vari tavoli di lavoro che il governo ha attivato nella prospettiva di una rapida attuazione della legge Calderoli? Al di là delle dichiarazioni politiche della maggioranza sul procedere senza esitazioni, è certo che rilevi così radicali su snodi fondamentali della legge Calderoli gettano ombre pesanti sul prosieguo di queste iniziative. Si pensi soprattutto alle trattative in corso tra il governo le Regioni Veneto, Lombardia, Piemonte e Liguria per il trasferimento di competenze legislative e amministrative nelle nove materie che, per la legge pre-sentenza della Corte, possono essere regionalizzate senza la determinazione dei relativi livelli essenziali, costi e fabbisogni standard. Le trattative dovrebbero essere sospese in attesa della pubblicazione della sentenza della Corte e soprattutto della revisione delle norme. Mancano motivazioni per la devoluzione Se infatti esaminiamo le richieste presentate dalla Regione Veneto, che sono state recentemente rese pubbliche ( vedi qui ), è subito evidente che una parte rilevante non sarebbe ammissibile secondo i principi fissati dalla decisione della Corte. Da un lato, la pressoché totalità delle richieste, almeno nella formulazione attuale, cadrebbe per carenza di motivazione: la Regione Veneto per lo più sostiene le proprie istanze di devoluzione sulla base dell’assunto che l’autonomia differenziata potrebbe portare a migliorare, specificatamente nell’ambito regionale, l’efficienza e l’efficacia delle politiche nazionali in quanto la Regione Veneto sarebbe in grado, apoditticamente, di meglio di conoscere e interpretare le specifiche necessità di quel territorio. Ma non fornisce elementi a dimostrazione di questa dichiarata qualità, considerato che identiche motivazioni, circa la conoscenza del proprio territorio, potrebbero essere egualmente rivendicato da tutte le regioni. Ad esempio, la richiesta della competenza in materia di “Giustizia di pace”, funzionale a “garantire l’ottimale dislocazione degli uffici giudiziari”, viene motivata “in virtù dell’approfondita e diretta conoscenza del territorio regionale, sotto il profilo economico-sociale” che “consentirà alla regione di determinare la ‘geografia’ degli uffici dei giudici di pace”. Un po’ poco rispetto al richiamo della Corte secondo cui la devoluzione deve essere chiaramente giustificata in relazione al principio di sussidiarietà. Motivazioni analoghe, che impressionano per la loro pochezza, tanto più in relazione alla rilevanza delle questioni relative al credito, riguardano la richiesta di attribuzione della “potestà di emanare norme legislative in relazione all’ordinamento delle casse di risparmio, delle casse rurali (…)”, per la “conoscenza del peculiare tessuto regionale”, al fine di “agevolare la promozione e lo sviluppo delle attività economiche mediante il rafforzamento del ruolo della regione nel disciplinare i sistemi creditizi locali”. Non meno povera di motivazioni appare la richiesta del “commercio con l’estero”, (funzione non esercitata nemmeno dai lander tedeschi), giudicata necessaria in quanto l’esercizio concorrente della competenza “non si è sviluppato come atteso”. Oltretutto per motivare la richiesta di “organizzazione di manifestazioni fieristiche, anche internazionali”, su cui già oggi non esite alcun vincolo, come dimostra la fiera di recente organizzata a Chicago, per la promozione del prosecco. Garantire i diritti civili e sociali di tutti Dall’altro lato, coerentemente con le indicazioni della Consulta, andrebbe verificato se, indipendentemente dal fatto di esser state incluse in blocchi (le “materie”) che la legge Calderoli ha indicato come non-Lep, le singole funzioni richieste attengano a prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, perché in questo caso richiederebbero la preventiva determinazione dei Lep per essere trasferite. Un esempio è la materia della “Protezione civile”, dove la Regione Veneto chiede personale, strutture, risorse ma anche maggiore potestà regolamentare ( vedi qui ). È veramente arduo pensare che per almeno alcune delle funzioni richieste non siano coinvolti diritti civili e sociali dei cittadini (assicurare assistenza alla popolazione in caso di grave emergenza) da garantire su tutto il territorio nazionale. In sostanza, i rilievi della Corte segnalano i vizi di una interpretazione del regionalismo che ha posto al centro, senza i necessari contrappesi, rivendicazioni prive di solidi ancoraggi, destinate ad alimentare non solo la tradizionale conflittualità con lo stato, ma anche quella con gli altri territori regionali. Ritornare al modello improntato alla sussidiarietà verticale e orizzontale sarà la sfida a cui sarà chiamato il legislatore nei prossimi mesi, nella consapevolezza che un’escalation della conflittualità sarebbe esiziale, non solo per i conti pubblici, ma anche per la vita stessa della Repubblica. Articolo originariamente pubblicato su LaVoce.info
- PD Veneto: «I comuni montani al collasso»
Seconda tappa della campagna ‘Pagano i cittadini’ a Pieve di Cadore (BL) e Rotzo(VI) Prosegue la campagna del Partito Democratico Veneto ‘ Pagano i cittadini! Tagli ai Comuni’ , dedicata a raccontare gli effetti concreti delle scelte del Governo Meloni sui bilanci degli enti locali. La seconda tappa si concentra sui comuni montani, luoghi simbolo delle difficoltà che gli amministratori locali stanno affrontando, attraverso i casi di Pieve di Cadore (BL) e Rotzo (VI). «Ogni giorno da quando abbiamo avviato la nostra campagna riceviamo segnalazioni da amministratori locali che lanciano un grido di dolore – dichiara Andrea Martella , segretario regionale del PD Veneto –. Non si tratta solo di numeri, ma di realtà in cui poche migliaia di euro possono fare la differenza tra offrire o meno servizi essenziali. Una situazione già difficile viene resa insostenibile da tagli nazionali che complessivamente toglieranno 1,4 miliardi di euro agli enti locali veneti nei prossimi anni». Nei comuni montani, piccoli per popolazione ma spesso chiamati a gestire vasti territori con grandi responsabilità, l’incertezza dei bilanci rende impossibile una programmazione efficace. A Pieve di Cadore (BL), con i suoi 3.500 abitanti, la sindaca Sindi Manushi sottolinea: «Nel 2024 abbiamo già subìto un taglio di 23.000 euro, mentre attendiamo con ansia di conoscere l’entità del prossimo. Ogni anno trasferiamo allo Stato quasi 800.000 euro di IMU tramite il Fondo di Solidarietà: una cifra che ci lascia con bilanci al limite. Ora, con i nuovi tagli, rischiamo di dover aumentare le tariffe per servizi come piscina comunale e stadio del ghiaccio, o introdurre costi dove prima erano gratuiti, come l’uso di sale e locali pubblici». A Rotzo (VI), comune di soli 680 abitanti, la situazione è altrettanto drammatica. «Già nel 2023 abbiamo subito un taglio di 26.000 euro – racconta il sindaco Lucio Spagnolo – e per il 2024 non riusciamo ancora a fare previsioni, con il decreto per il nuovo taglio atteso entro il 30 gennaio. Intanto, non possiamo pianificare il trasporto scolastico, che costa 40.000 euro l’anno, e siamo costretti a soluzioni temporanee per chiudere i bilanci. Anche un taglio di poche migliaia di euro rischia di compromettere i servizi più basilari. L’anno scorso, per risparmiare 4.000 euro, abbiamo spento l’impianto elettrico del comune dalle mezzanotte alle cinque del mattino. Ora dobbiamo valutare se rifarlo». Martella conclude: «I tagli del Governo non lasciano scampo ai nostri comuni montani, che svolgono un ruolo fondamentale per la tutela del territorio e la coesione delle comunità. È inaccettabile che gli amministratori siano costretti a scegliere tra quali servizi tagliare per far quadrare i conti. Con questa campagna vogliamo denunciare le scelte devastanti del Governo e richiamare l’attenzione sulla necessità di un cambio di rotta». La campagna del PD Veneto continuerà a monitorare la situazione e a dare voce ai territori, portando avanti la battaglia per restituire dignità e risorse ai comuni veneti. Leggi anche: le conseguenze dei tagli a Preganziol (TV)
- Comuni, Pd lancia campagna ‘Pagano i cittadini’
Operazione verità sui tagli agli enti locali Il Partito Democratico Veneto lancia la campagna “ Pagano i cittadini! Tagli ai Comuni ,” un’iniziativa pensata per mostrare concretamente l’impatto dei tagli agli enti locali decisi dal governo Meloni. Un’operazione verità che attraverserà l’intera regione, mettendo in evidenza, con esempi specifici, come le scelte del Governo stiano indebolendo i servizi essenziali per le famiglie e le comunità. «Di fronte ai tagli imposti dalla manovra, a farne le spese non sono solo i bilanci, ma i cittadini, le famiglie, le imprese che contano sui servizi locali», afferma il segretario regionale del PD Veneto, Andrea Martella . «Solo nella nostra regione, questo si tradurrà in quasi 1,4 miliardi di euro in meno nell’arco dei prossimi cinque anni in spesa corrente. È una scure che colpisce i territori, riducendo le capacità di intervento dei Comuni e mettendo a rischio le attività più vicine alla vita quotidiana delle persone. Questa è l’autonomia al contrario, con i sindaci costretti a diventare gabellieri per Roma». La campagna analizzerà le conseguenze dei tagli in sette Comuni, uno per ogni provincia veneta. La prima tappa è Preganziol , dove i tagli previsti sono già drammaticamente chiari: oltre 200.000 euro in meno in spesa corrente in tre anni, a cui si aggiungono i tagli già avvenuti nel 2024. Una riduzione che, nel bilancio del Comune, equivale all’intero capitolo destinato ai contributi per le famiglie in difficoltà. «L’entità dei tagli, 70.000 euro all’anno in meno, è significativa», spiega la sindaca di Preganziol, Elena Stocco . «Una cifra che equivale ai fondi stanziati per sostenere le famiglie che fanno fatica ad arrivare alla fine del mese. Con questi tagli, la nostra capacità di garantire aiuto a chi è in difficoltà rischia di essere completamente assorbita. Non vogliamo far pagare ai cittadini il prezzo delle scelte sbagliate di Roma, quindi ci impegneremo per trovare delle soluzioni che tutelino le famiglie di Preganziol, ma i margini sono ormai ridottissimi e le prossime scelte saranno dolorose. È necessario invertire la rotta e restituire risorse ai Comuni, anche perché viviamo in un periodo in cui tutele e servizi andrebbero allargati e non ristretti». Martella conclude: «I tagli non sono solo numeri, ma significano meno scuole sicure, meno servizi sociali, meno interventi di manutenzione. Non solo: la riduzione dei fondi per gli investimenti va a compromettere le azioni di messa in sicurezza e tutela idrogeologica. Il Governo sta di fatto strangolando i territori, costringendo i sindaci a una scelta odiosa e ingiusta: aumentare le tasse locali o ridurre le attività a favore della collettività. Questa campagna vuole essere uno strumento per sensibilizzare i cittadini e mobilitare le coscienze contro una manovra che impoverisce le comunità». La campagna proseguirà nelle prossime settimane, con tappe dedicate ad ogni provincia, raccogliendo segnalazioni e testimonianze direttamente dai territori. Amministratori e cittadini potranno seguire e partecipare all’iniziativa attraverso il sito del PD Veneto: www.pdveneto.com/pagano-cittadini
- Gruppo PD Veneto: «Superstrada Pedemontana Veneta rappresenta il fallimento degli ottimisti, frutto di conti e stime sbagliati»
La Capogruppo del Partito Democratico, Vanessa Camani , numeri alla mano, nel corso di una conferenza stampa, martedì 12 novembre a palazzo Ferro Fini, assieme ai consiglieri regionali del Pd, ha affermato che “il presidente Zaia sta cercando di glissare e nascondere, con il suo solito stile, la voragine finanziaria gigantesca che si sta aprendo nelle casse regionali a causa della Superstrada Pedemontana Veneta. Ma le cifre e le condizioni alle quali la Regione del Veneto deve e dovrà sottostare per i prossimi anni dicono solo una cosa: la Pedemontana segna in maniera inequivocabile il fallimento degli ottimisti”. “L’ottimismo non è una categoria che può essere applicata ai bilanci e alle risorse pubbliche – ha osservato infatti la Capogruppo – E ciò che emerge oggi dagli oggettivi numeri di bilancio e dalle stime aggiornate è la grande certezza del costo esorbitante dell’opera per i primi tre anni e la grande incognita rappresentata da come pagheremo quest’opera in futuro. Le stime previste nel Terzo atto convenzionale del 2017, per quanto riguardano i proventi da traffico, sono infatti sbagliate, come da noi ampiamente previsto e denunciato, e di conseguenza anche gli impatti sul bilancio della Regione”. “In base alle previsioni iscritte nel bilancio 2025-2027, la Giunta regionale prevede che per i prossimi tre anni la Pedemontana costerà 113 milioni – ha spiegato Camani – A questi vanno però sommati i 44 milioni del 2024, pari alla differenza tra gli incassi che la Regione assume dai pedaggi effettivi e presunti e il canone che deve pagare al concessionario. In totale, arriviamo alla cifra record di 157 milioni, quando le previsioni del 2017 prevedevano un esborso di ‘soli’ 45 milioni. Un’operazione, dunque, che nei primi tre anni e dieci mesi, costa 112 milioni in più del previsto, senza che nessuno ne chieda conto al Presidente”. “Il fatto che un debito così significativo ricade sul bilancio della Regione assume contorni ancora più gravi perché la mannaia si abbatte in una fase di estrema ristrettezza economica, con un bilancio regionale già alla canna del gas, tanto che Zaia, inevitabilmente, malgrado i suoi proclami ‘Tax free’, ha dovuto ricorrere all’aumento dell’Irap, oltre a dover attingere, per riuscire a pagare il deficit, alle riserve messe a disposizione da CAV”, ha aggiunto la Capogruppo del Pd. “Questa ‘operazione verità’ non vuole essere una manovra depressiva o pessimista, come direbbe il Presidente Zaia – ha chiarito in conclusione Vanessa Camani – Vuole, invece, essere un momento di riflessione sulla questione politica cruciale, sul peccato originario di questa operazione. Con la definizione del Terzo atto convenzionale, infatti, si è deciso di ribaltare a sfavore del pubblico il meccanismo del project financing: entrate certe per il privato (canone) e incertezza e rischio di impresa per il pubblico (entrate da pedaggi). L’ottimismo è senza dubbio un’ottima predisposizione umana, ma diviene metodo pericoloso se applicato ai conti pubblici”. Il vicepresidente della Seconda commissione consiliare (Infrastrutture e Trasporti), Jonatan Montanariello , ha ribadito che “i numeri presentati dalla nostra Capogruppo sono assolutamente chiari e dimostrano inequivocabilmente come la Pedemontana sia frutto di una convenzione nata male. La realtà è che l’amministrazione regionale manca di una visione complessiva, di una governance unica delle infrastrutture. Sono state infatti realizzate, negli ultimi anni, opere avulse e non collegate tra loro. Questo ha impedito di mettere in rete il sistema infrastrutturale veneto, distinguendo tra le opere funzionali allo sviluppo economico della Regione e quelle necessarie a rispondere alle esigenze quotidiane dei cittadini. Manca una pianificazione e così non sono stati intercettati i grandi asset strategici funzionali allo sviluppo della Regione. Il problema non è la Pedemontana in sé, ma a cosa saremo costretti a rinunciare, nei prossimi trent’anni, a fronte di questo indebitamento: a quanti interventi di sicurezza? a quanti interventi di sviluppo infrastrutturale? Penso solo al mancato completamento della Provinciale 9, unica alternativa alla Romea”. Per Chiara Luisetto “la Pedemontana è una strada che stiamo pagando tante volte e pensare che nella prima convenzione era stata addirittura promessa la gratuità per tutti. La Superstrada rappresenta una pesante ipoteca per i conti della Regione, e non è stata neppure realizzata bene: pensiamo alla galleria di Malo”, ha chiosato la consigliera. Francesca Zottis ha posto l’accento sul fatto che “a monte, è stata sbagliata la stima dei flussi di traffico e questo errore si è riverberato, a cascata, su tutto il resto”. Anna Maria Bigon ha evidenziato che “con i soldi della Pedemontana la Regione Veneto avrebbe potuto fare molto per la non autosufficienza: avevamo chiesto 100 milioni e ci hanno risposto che non c’era disponibilità in bilancio, mentre ne sono stati stanziati 112 per la Pedemontana. Paghiamo la cattiva programmazione regionale”. Andrea Zanoni ha osservato come, “numeri alla mano, nei prossimi anni, il buco medio per le casse regionali sarà di 170 milioni: a fronte di 300 milioni di canone medio da riconoscere all’ente gestore, solo 130 milioni potranno essere incamerati dai flussi di traffico. E ricordiamo le criticità sollevate dalla Corte dei conti, come le opere complementari non più finanziate. È stata sacrificata la metropolitana di superficie e la sicurezza delle infrastrutture”.
- Autonomia, «Stop colpa dell’arroganza di Zaia. Ennesima promessa tradita»
Il commento del senatore Andrea Martella, segretario regionale del PD Veneto, sullo stop della Consulta alla legge Calderoli «Abbiamo passato anni a ripetere a Zaia e alla Lega che procedendo così avrebbero fatto schiantare il progetto dell’autonomia. Ad essere stata punita, infatti, leggendo il comunicato della Consulta , è proprio l’arroganza di Zaia e della Lega che hanno voluto forzare tempi e modi di una riforma molto complessa e molto delicata. Lo avevamo detto ed è successo: questa riforma, così come è stata frettolosamente costruita e lanciata non andava bene, aveva problemi e avrebbe prodotto conflitti». Lo afferma il senatore Andrea Martella , segretario regionale del Partito democratico del Veneto. «Tutto questo era evitabile», prosegue Martella, «e ora, nonostante la Lega provi a minimizzare, non sarà facile portare correzioni visto il merito delle obiezioni della Consulta. Si apriranno nuove divisioni nel centrodestra, con Zaia e Salvini da una parte, e le prudenze di Forza Italia e l’ostilità di Meloni e FDI dall’altra». «Quello che è peggio è che, per l’ennesima volta, le aspettative delle famiglie e delle imprese venete sono state tradite dalla approssimazione e dalla inconsistenza del gruppo di potere che governa da oltre 15 anni. Non c’è stato anno, dopo il referendum regionale del 2017, in cui Zaia non abbia detto: ‘stavolta ci siamo questo sarà l’anno dell’autonomia’», conclude il segretario del PD Veneto. «Anche oggi a quanto pare l’autonomia arriverà domani». Le decisioni della Consulta La Corte Costituzionale ha ritenuto fondate le molteplici questioni di legittimità costituzionale della legge Calderoli che nel corso degli ultimi due anni il PD ha sollevato. «Si tratta di una sconfessione di un impianto», prosegue Martella, «di cui il presidente Zaia è stato principale protagonista, che avrebbe rischiato di far deragliare il già fragile stato del nostro ordinamento e la tenuta dei conti pubblici. La Corte sconfessa la retorica delle 23 materie, tutte e subito, sostenendo che ‘la devoluzione debba riguardare specifiche funzioni legislative e amministrative e debba essere giustificata in relazione alla singola regione’. Viene rimesso nelle mani del Parlamento la determinazione dei LEP che la legge Calderoli pretendeva di attribuire al solo governo, così la loro definizione con DPCM attribuita al governo. Viene censurata la stessa modalità di definizione e di revisione delle aliquote di compartecipazione per le funzioni devolute, questione delicatissima che avrebbe potuto creare rilevanti tensioni per i conti pubblici». «Le stesse materie non Lep, quelle su cui Calderoli, spavaldamente aveva già iniziato a trattare, sono state circoscritte stabilendo che ‘i relativi trasferimenti non potranno riguardare funzioni che attengono a prestazioni concernenti i diritti civili e sociali’ e le risorse finanziare relative dovranno essere determinate in riferimento a costi e fabbisogni standard. Altro che la spesa storica prevista dal Dl Calderoli. Insomma», conclude Martella, «una sconfessione significativa e una sconfitta per il governo. In questi ultimi due anni abbiamo provato in tutti i modi a far presenti esattamente questi problemi indicando le soluzioni. L’arroganza e la chiusura ancora una volta sono state cattive consigliere».
- De Luca e la pistola fumante del terzo mandato
di Ivo Rossi Le vicende relative all’approvazione della ‘leggina’ sul cosiddetto terzo mandato di De Luca, meglio di qualsivoglia manuale di diritto, spiegano la necessità del mantenimento dei limiti temporali all’esercizio dei poteri esecutivi monocratici, com’è il caso dei presidenti di regione eletti direttamente. E’ utile ricordare come la legge statale 165/2004 - qualora il Consiglio regionale abbia optato per l’elezione popolare diretta del suo presidente - ha stabilito la “ non immediata rieleggibilità allo scadere del secondo mandato consecutivo del Presidente della Giunta regionale eletto a suffragio universale e diretto ”. Da quella data le regioni erano chiamate ad adottare nella propria legge elettorale tale limite. Il Veneto, pur con un ritardo di otto anni, l’ha fatto nel 2012, consentendo a Zaia, in virtù di un “ fatto salvo ”, di essere già ora al suo terzo mandato, cosa che non gli impedisce di chiedere l’eliminazione di qualsiasi limite. La pretesa fuori tempo massimo di De Luca, di adottare con legge regionale i limiti introdotti dalla legge statale ben vent’anni prima e in funzione di un’estensione ad libitum del suo personale potere, ha dapprima provocato legittimi dissensi da parte dei consiglieri della sua stessa maggioranza, riserve silenziate dalla minaccia di scioglimento del Consiglio regionale quale conseguenza delle annunciate dimissioni di De Luca in caso di voto contrario. Ecco il punto: un presidente di regione che con le sue dimissioni determina lo scioglimento del Consiglio regionale, in questo caso per questioni legate al suo personalissimo potere, dispone di un inaccettabile potere sulla vita dell’istituzione che, pro tempore, è stato chiamato a presiedere. Il limite ai mandati è stato introdotto proprio quale contrappeso rispetto all’enorme potere attribuito ai presidenti eletti a suffragio universale diretto, un potere assoluto proprio come nelle monarchie, che rende insignificante il ruolo dei consigli e dei consiglieri chiamati a rappresentare i cittadini senza vincolo di mandato. E un conto è minacciare le dimissioni nel caso in cui il presidente non goda più della fiducia del Consiglio rispetto al programma di governo, altro è la minaccia/ricatto in funzione del proprio potere personale. Negli Stati Uniti, solo per citare una grande democrazia, a nessuno (al momento nemmeno a Trump), viene in mente di proporre l’eliminazione del limite dei due mandati per il presidente eletto, in più, in caso di sue dimissioni, il Senato e il Congresso continuano a svolgere la loro funzione legislativa e di rappresentanza. Funzionano come contropoteri, come strumento di limitazione del potere presidenziale, anche laddove le maggioranze siano le stesse. E’ questo un punto centrale della questione terzo mandato e sono davvero risibili gli argomenti usati all’unisono da Zaia e De Luca, che con nonchalance, chiedono di equiparare i presidenti di Regione ai parlamentari e ai consiglieri, titolari del solo potere legislativo e di controllo, che è cosa ben diversa dall’abnorme potere esecutivo posto in capo al presidente, che quei consiglieri può mandare a casa. Se De Luca e Zaia sono così attaccati alla poltrona, la strada per chiedere l’estensione dei loro mandati, passa attraverso quella facoltà che la Costituzione ha stabilito all’articolo 122, laddove si afferma che “Il Presidente della Giunta regionale, salvo che lo statuto regionale disponga diversamente, è eletto a suffragio elettorale diretto” . L’eventuale soluzione sta proprio là: nella modifica statutaria che torni ad attribuire al Consiglio l’elezione del presidente della Giunta. Tertium non datur, anche agli uomini della provvidenza.
- Autonomia, Martella: «Sconfessata la legge Calderoli. Sconfitta pesante per il Governo e per Zaia»
«La Corte Costituzionale ha ritenuto fondate le molteplici questioni di legittimità costituzionale della legge Calderoli che nel corso degli ultimi due anni abbiamo sollevato, che sono oggetto della nostra battaglia parlamentare e delle nostre proposte». Lo afferma il senatore Andrea Martella , segretario regionale del PD del Veneto commentando le decisioni della Consulta. «Si tratta di una sconfessione di un impianto», prosegue Martella, «di cui il presidente Zaia è stato principale protagonista, che avrebbe rischiato di far deragliare il già fragile stato del nostro ordinamento e la tenuta dei conti pubblici. La Corte sconfessa la retorica delle 23 materie, tutte e subito, sostenendo che ‘la devoluzione debba riguardare specifiche funzioni legislative e amministrative e debba essere giustificata in relazione alla singola regione’. Viene rimesso nelle mani del Parlamento la determinazione dei LEP che la legge Calderoli pretendeva di attribuire al solo governo, così la loro definizione con DPCM attribuita al governo. Viene censurata la stessa modalità di definizione e di revisione delle aliquote di compartecipazione per le funzioni devolute, questione delicatissima che avrebbe potuto creare rilevanti tensioni per i conti pubblici». «Le stesse materie non Lep, quelle su cui Calderoli, spavaldamente aveva già iniziato a trattare, sono state circoscritte stabilendo che ‘i relativi trasferimenti non potranno riguardare funzioni che attengono a prestazioni concernenti i diritti civili e sociali’ e le risorse finanziare relative dovranno essere determinate in riferimento a costi e fabbisogni standard. Altro che la spesa storica prevista dal Dl Calderoli. Insomma», conclude Martella, «una sconfessione significativa e una sconfitta per il governo. In questi ultimi due anni abbiamo provato in tutti i modi a far presenti esattamente questi problemi indicando le soluzioni. L’arroganza e la chiusura ancora una volta sono state cattive consigliere».
- Un osservatorio regionale contro la violenza di genere
La proposta di legge Camani (PD) ottiene via libera unanime in commissione «Esattamente un anno fa, quando ci siamo svegliati tutti sconvolti dal terribile femminicidio di Giulia Cecchettin, mi sono interrogata, da donna, madre e rappresentante istituzionale, su cosa poter fare. Per andare oltre il cordoglio ed essere concretamente a fianco della sua famiglia. Per contribuire, non solo a parole, a mettere un argine a questa deriva assassina. Per evitare che mia figlia diventi un giorno vittima o mio figlio un giorno carnefice. Non lo nascondo: per giorni ho provato un sentimento misto, di angoscia e impotenza. Un senso di smarrimento, dato dalla ancora larga indecifrabilità di questo tremendo fenomeno che ogni giorno si abbatte sulle nostre quotidianità. Da qui, una convinzione: la necessità di dotare le istituzioni, in questo caso la nostra Regione, di strumenti di profonda comprensione, indispensabili per poter mettere al sicuro le donne, nel modo più efficace. Ne è sortita una proposta di legge, presentata a dicembre dello scorso anno, per l’istituzione di un Osservatorio regionale contro la violenza di genere. A distanza di un anno dall’uccisione di Giulia, questa proposta ha ottenuto un primo via libera da parte di tutti i consiglieri regionali che siedono nelle commissioni competenti. Una unanimità politica che è la miglior risposta al rischio di un’inerzia istituzionale». Le parole sono di Vanessa Camani , capogruppo del Partito Democratico in Consiglio regionale del Veneto, prima firmataria della proposta di legge per l’istituzione dell’Osservatorio regionale contro la violenza di genere. «Capire, grazie agli esperti e agli operatori che faranno parte dell’Osservatorio, come si insinua e si struttura la violenza di genere dentro la società. Comprenderne le cause scatenanti, l’humus culturale e le dinamiche che rendono pervasivo il fenomeno. E poi decidere, pianificare ed attuare un piano strutturato di interventi, in grado non solo di proteggere le donne ma di rendere pienamente effettivo e paritario il loro protagonismo nella società. Gli obiettivi, condivisi da tutti i consiglieri regionali, sono questi. In questi dodici mesi, il ricordo di Giulia ha continuato a accompagnare e a stimolare la nostra attività in Consiglio Regionale. Con caparbietà, assieme ai colleghi del Gruppo PD, che ringrazio, abbiamo pervicacemente insistito affinché questa nostra proposta potesse diventare legge della Regione del Veneto. Ora il provvedimento è pronto per l’aula, forte appunto di una unanime condivisione: manca solo un ultimo passaggio, l’approvazione in Consiglio regionale, che chiediamo avvenga in tempi stringenti. Lo dobbiamo a Giulia e alla sua famiglia».












