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Sbagliammo a candidare Bortolussi, per il 2015 né Zanonato né Variati


La senatrice Filippin cede la segreteria regionale a De Menech. «La mia soddisfazione più grande? La vittoria di Manildo a Treviso. Il Pd renziano piacerà al Veneto» Il 15 novembre del 2009, dopo aver battuto Felice Casson e Andrea Causin alle primarie, Rosanna Filippin veniva eletta segretario regionale del Pd in Veneto, unica donna a ricoprire quella casella sullo scacchiere democratico in Italia con Debora Serracchiani nel vicino Friuli Venezia Giulia. Dal 17 febbraio, ha ufficialmente ceduto il passo a Roger De Menech, il nuovo segretario. Lui deputato «renziano» sulla cresta dell’onda come tutti i «renziani», lei senatrice «lettiana» fedele al suo mentore anche nella sventura (nella direzione del partito che ha incoronato premier Matteo Renzi, che pure ha sostenuto alle primarie, ha preferito non prendere parte al voto: «Quello di Matteo è un azzardo»). Un passaggio di testimone che segna la fine di un capitolo per il Pd in Veneto, lanciando la corsa verso le Regionali del 2015. Senatrice Filippin ci dica la soddisfazione più grande che s’è tolta da segretario. «La vittoria di Manildo contro Gentilini, a Treviso. E’ solo un episodio ma emblematico, il segno del cambiamento. Quando sono diventata segretario la Lega Nord era all’apice del suo consenso e difatti pochi mesi dopo la mia elezione Zaia divenne governatore con un risultato straordinario. Da lì, però, è partita la nostra remuntada, culminata nella vittoria di Giovanni e nel “cappotto” ai ballottaggi del 2013: vincemmo in tutti i Comuni in bilico». A proposito di Zaia: potesse rubargli qualcosa, cosa gli ruberebbe? «La sua straordinaria capacità comunicativa, ha pochi eguali a livello nazionale. E’ una macchina da guerra, in grado di far passare l’inutile per utile, la chiacchiera per un fatto. Su questo fronte abbiamo ancora molto da imparare». E la delusione più grande? «La sconfitta alle Regionali, in quel modo, con quel distacco, è la responsabilità più grande che porto su di me. Abbiamo sbagliato come Pd ed io ho sbagliato più degli altri, come segretario. Avremmo dovuto sacrificare un nome identitario, invece puntammo su un candidato, Giuseppe Bortolussi (il segretario della Cgia di Mestre, ndr.), che s’è rivelato non avere né il carattere, né la personalità giusti». Se potesse tornare indietro… «…non avrei dubbi e candiderei Laura Puppato. Saremmo usciti sconfitti comunque, perché nel 2010 il centrodestra era a livelli stratosferici, ma noi ne saremmo usciti meglio, più forti e più attrezzati per attraversare lunga traversata. Così invece è stato doloroso. Abbiamo pagato anche con addii importanti, come Causin e Bottacin». A Padova, con le primarie su Ivo Rossi, avete rischiato l’effetto boomerang. Alle volte non sarebbe meglio lasciar perdere? «Le primarie sono utilissime ma non devono togliere ai dirigenti del partito la responsabilità delle scelte e delle strategie. Non possono mascherare dietro la delega ai cittadini le colpe di eventuali insuccessi, devono essere uno strumento, mai il fine». Con Matteo Renzi la sinistra esiste ancora? «Renzi sta cambiando pelle al Pd, è vero. Diciamo che la sinistra non è più quella che abbiamo conosciuto, Matteo la sta ri-collegando ai tempi i cui viviamo». Gli ex comunisti, anche in Veneto, non la stanno prendendo bene. «Quella storia e qui valori restano irrinunciabili e non sono stati dimenticati. Certo chi arriva da quell’esperienza, che non è la mia, in questi giorni si sente un po’ orfano ma vorrei che pensasse a questa transizione come ad un parto: è un fatto doloroso ma il bimbo che nasce è tuo figlio, ha il tuo dna. Vivrà il suo tempo come tu hai vissuto il tuo». A proposito di correnti: continuiamo così, a farci del male? «La gestione delle correnti è il lato meno affascinante del fare il segretario: si perde un sacco di tempo nella mediazione interna quando semmai bisognerebbe preoccuparsi di quella esterna… Queste “sensibilità”, che peraltro si rimescolano ad ogni cambio della segreteria nazionale, sono una ricchezza ma non abbiamo ancora imparato a gestirle. Ci sono, ad esempio, idee diverse sulle infrastrutture, sulla Tav: la sfida più grande per De Menech sarà trovare un punto di mediazione che diventi però la voce unitaria del partito. Il Pd non può essere vittima di una guerra permanente, inquinata da vicende che spesso hanno poco di politico e molto di personale». Con Renzi il Pd può vincere anche in Veneto? «Nel 2015 il quadro sarà completamente diverso da quello del 2010. La Lega non è più la forza del cambiamento, perché ha dimostrato di non saper cambiare nulla, e la galassia berlusconiana è dilaniata, da quelle parti è successo di tutto. Il Pd di Renzi può piacere al Veneto perché è la politica dei fatti e non del fumo sparso ai quattro venti, se si dice che si fa una cosa, la si fa, le cose si cambiano, piaccia o non piaccia. Rapidità e decisionismo, a queste latitudini, sono parole d’ordine vincenti». Lei chi candiderebbe a governatore? «Un nome non ce l’ho ». Gliene faccio io due: Variati e Zanonato. «Mi chiedo se siano questi i nomi del cambiamento che il Veneto chiede a gran voce. Penso a qualcuno di diverso, in grado di sparigliare». Torniamo per un attimo a Berlusconi: lei siede nella giunta per le elezioni, dov’è stata votata la decadenza. Delusa dal ritorno in pista del Cavaliere? «A differenza di altri non ho mai vissuto il voto sulla decadenza come un momento epocale. Berlusconi è ancora qua, ha preso 9 milioni di voti e nel suo schieramento il leader resta lui. La Seconda Repubblica finirà quando riusciremo a sconfiggerlo alle elezioni. Spero accada presto». Tra le tante differenze tra le Regionali del 2010 e quelle del 2015 c’è anche il Movimento 5 stelle. Con la legge elettorale approvata a Palazzo Ferro Fini, stavolta, rischiate di vincere sul serio, anche grazie a loro. «Grillo ha scommesso sul fallimento delle istituzioni e della politica e persegue il suo obiettivo con pervicacia, insulto dopo insulto. Quando la macchina a Roma ha faticosamente ingranato la prima, il M5S, guarda caso, iniziato la gazzarra. In Veneto conquistano grossa parte del voto leghista e della sinistra radicale: per come stanno le cose penso sia impossibile un’alleanza con loro. Anzi. Il Pd dev’essere l’antidoto democratico e civile alla rabbia e alla scontentezza ma siamo all’ultimo appello. A Roma come a Venezia non possiamo più fallire: rischiamo di svegliarci con i forconi accanto al letto». da Corriere del Veneto – di Marco Bonet

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