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Referendum: non sempre le sconfitte sono negative…

… soprattutto se ci aiutano a capire i nostri errori e, magari, a non ripeterli scrive Matteo Montagner E così si è conclusa la vicenda referendaria, ma ogni conclusione è anche un nuovo inizio perché la storia non si ferma mai. A pochi giorni dall’esito del Referendum che ha visto prevalere ampiamente il fronte del NO si respira uno strano clima, come se quell’ondata che era partita da Prossima fermata Italia ormai nel novembre 2010, lanciata da Matteo Renzi e Giuseppe Civati, allora rispettivamente Sindaco di Firenze e Consigliere regionale in Lombardia che aveva valso loro il titolo di “rottamatori”, si fosse arrestata alle soglie di questa scadenza referendaria e tutto fosse stato riportato al 1992. Di sicuro Matteo Renzi ha compiuto degli errori, ma la rabbia che si è scatenata nel corso di questa battaglia è qualcosa di inedito eppure di già visto, di nuovo, ma che sa anche di una nostalgia per i vecchi tempi passati, come se l’orologio del tempo che scorre inesorabilmente potesse essere riportato indietro. Le ragioni della sfiducia sono a mio avviso identificabili in quattro fattori, più uno che tratterò separatamente. Gli effetti della crisi hanno effettivamente indebolito molte fasce della popolazione, eppure questo unico fattore non spiega tutto, le comunità post-conflitto erano comunque caratterizzate da un’ampia voglia di riscatto e di solidarietà sociale Il mondo è diventato molto più complesso sia in termini di interconnessioni geografiche che di relazioni, oggi tutti o quasi abbiamo in tasca telefoni sempre più sofisticati, ma il repentino inserimento di tecnologie sociali (vedi i social network) hanno impattato sulla popolazione spesso impreparata con un conseguente incremento della disinformazione complessiva e l’imbarbarimento causato dalla disintermediazione a sforzo zero. Una sfiducia esagerata. Mi duole dover ripetere questa storia di Buddha: “Si racconta la storia di due cani che, in momenti diversi, entrarono nella stessa stanza. Uno ne uscì scodinzolando, l’altro ringhiando.Una donna li vide e, incuriosita, entrò nella stanza per scoprire cosa rendesse uno felice e l’altro così infuriato. Con grande sorpresa scoprì che la stanza era piena di specchi. Il cane felice aveva trovato cento cani felici che lo guardavano, mentre il cane arrabbiato aveva visto solo cani arrabbiati che gli abbaiavano contro.Quello che vediamo nel mondo intorno a noi è un riflesso di ciò che siamo. Tutto ciò che siamo è un riflesso di quello che abbiamo pensato. La mente è tutto. Quello che pensiamo diventiamo.” Una buona parte della popolazione preferisce lamentarsi che provare a fare qualcosa, la mia generazione che è stata effettivamente martoriata dal precariato al posto della reazione ha preferito molte volte starsene in un limbo di eterna adolescenza, permanendo in alcuni casi fino a trent’anni nella cameretta dove sono cresciuti nella casa dei genitori. Infine, c’è una certa tendenza da parte della classe dirigente e della popolazione ad applicare una sorta di “bipensiero” o “dispensiero” ben descritto da Orwell in 1984, l’incapacità cioè di tenere fissi dei valori o dei criteri stabili in una sorta di liquidità deteriore nella popolazione a cui consegue una sospensione della razionalità, si possono dire e fare cose contraddittorie, si può agire male e predicare bene senza conseguenze. Un altro dato rilevante è il voto dei giovani nei confronti del Referendum. Il problema per i giovani oggi è una questione di equità ed è vero che negli ultimi anni sono stati sicuramente quelli più snobbati, non solo dal Governo Renzi. Tale Governo ha fatto cose anche positive e si è contraddistinto per un dinamismo eccezionale, pensate al versante dei diritti civili o agli 80€ che restano una delle più grandi manovre ridistributive, cosa che non si vedeva da anni, ma la logica del bonus e il concentrarsi su una dimensione di “garantiti” non ha giocato sicuramente in modo favorevole agli occhi delle nuove generazioni. Il dato sui giovani secondo me è stratificato: una parte dei giovani vota strutturalmente contro, e quindi è un voto di protesta, poi si aggiungono tutti coloro che non sono garantiti, che sono precari, che tirano avanti a voucher e si vedono sbandierare in televisione come occupati anche quando magari lavorano solo un mese l’anno. Ci sono poi i liberi professionisti come il sottoscritto, eternamente dimenticati dai governi di tutti i colori. Anche i tanto paventati tagli avrebbero avuto un impatto maggiore nella dimensione di una nuova equità intergerazionale come proposto da Tito Boeri, certo alcuni di voi mi diranno che non sarebbe stata una via perseguibile, ma alla fine paga il tentativo di cambiare le cose. Gli under 35 son spesso snobbati dai governi, pure il Jobs Act non è valutabile nel breve termine, ma l’idea di andare avanti a bonus, incentivi, piccole manovre ridistributive mi sembra non abbia alla fin fine sortito effetti reali. Saremo anche nella post-verità, ma possibile che gli under 35 per l’ottanta per cento abbiano tutti votato NO? E’ evidente che qualcosa si è inceppato. Sapevamo che sarebbe successo: http://www.rollingstone.it/cultura/news-cultura/perche-i-giovani-voteranno-no-al-referendum/2016-11-29/. Possiamo sbagliando credere che siano tutti sprovveduti o bisognerebbe invece iniziare a fare i conti con il disagio sociale, con l’assenza totale di meritocrazia, con il nepotismo, con la stagnazione e la grave incapacità di creare un minimo di solidarietà tra le persone? Esagero, ma se guardassi ai miei interessi sulla base delle proposte economiche nemmeno io dovrei votare PD, ma M5S, solo per fare un esempio: https://www.investireoggi.it/fisco/riforma-partite-iva-minimi-m5s-frena-il-governo/ Il PD dialoga nella maggior parte dei casi con maschi anziani, pensionati, pubblici dipendenti e persone all’interno di sistemi molto poco soggetti all’impatto della crisi. Che fare? Salvare il soldato Renzi perché in questo scenario pur con tutti i suoi limiti ed errori è ancora una risorsa per provare a cambiare il Paese? Ma in queste ore egli si trova come in uno di quei vecchi film in cui viaggiando sull’Oriente Express i compagni di carrozza nascondono un coltellino in attesa di colpire. Le strategie sono due, una esterna: farlo bollire tenendolo comunque coinvolto in ruoli di governo, un’altra interna: indire un Congresso del PD riuscendo a disarcionarlo definitivamente dalla guida del Partito, infatti Bersani e suoi sostenitori osservano le macerie fumanti del post-Referendum dimostrando ancora una volta di non aver minimamente capito a che gioco stiamo giocando, tutti presi da una voglia di regolamento di conti interni si apprestano a consumare l’ultimo atto di una vendetta che più che colpire Matteo Renzi potrebbe finire per distruggere quanto resta del PD. Bisognerebbe ammettere che il progetto politico del PD si è ormai sgretolato con i 101 vecchi e nuovi col nuovo Referendum, è stato spiacevole aver visto i miei compagni di Partito tipo l’On. Zoggia e simili assumere un atteggiamento nei confronti di Matteo Renzi del tipo: “dagli al cane fin quando non affoga”, quando mi ricordo benissimo lui e altri invitare all’unità della ditta. Perché solidarietà e unione valgono solo quando a comandare sono loro? Potrei dire che Matteo Renzi dovrebbe ricandidarsi alle primarie del PD, rivincerle e rilanciarsi a elezioni il prima possibile, ma non lo farò, perché assisteremmo a un film già visto e non si possono fare le stesse cose aspettandosi risultati diversi. Bisognerebbe convocare un Congresso del PD, ma per definire un divorzio consensuale tra forze interne che non sono più compatibili e non perché chi ha seguito nella sua esperienza riformista Matteo Renzi sia di destra, ma perché c’è una parte del PD che non riesce a liberarsi da una atavica necessità di parlare solo a una parte del Paese, ammorbato da una perversa vocazione minoritaria, perché stare all’opposizione è più facile che governare. Bisognerebbe puntare alla creazione di un soggetto nuovo, autenticamente di sinistra e connotato da una forte attenzione all’equità sociale, ma nel contempo capace di rompere molti tabù della sinistra tradizionale all’insegna di un vero progressismo. Matteo Renzi dovrebbe inoltre imparare dai propri errori, abbandonando l’idea di un partito liquido perché uno dei suoi punti di maggior fragilità è aver fatto il Segretario del PD senza occuparsi in modo più costante del PD, rafforzando l’algido verticismo del “PD Nazionale”, mentre bisognava valorizzare i territori, puntando sulla formazione e favorendo la crescita di una nuova classe dirigente. Non ci serve meno Partito e più liquidità, ma più Partito, un Partito che sappia valorizzare le specificità locali in una logica di globalità amonica, che sappia lavorare sui temi e ricostruire i legami di una comunità politica sempre più divisa in fazioni contrapposte. Non sempre le sconfitte sono negative se ci aiutano a imparare dai nostri errori.

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