Stefano Fracasso *: “L’astensione non ci consentirà certo di costruire una nostra visione del Veneto. Piuttosto un nostro Sì che rimarchi la via di una autonomia che coniuga efficienza, solidarietà e sviluppo, che parta dai comuni, che selezioni poche ma decisive competenze, nel segno della migliore tradizione del centro sinistra regionale”.
Paolo Giaretta pochi giorni fa ha inquadrato i dilemmi del PD Veneto nei confronti del prossimo referendum sull’autonomia. Ha denunciato il rischio che il SI critico, frutto di lunga gestazione, si tramuti in un SI pavido “che rinuncia a presentare agli elettori la propria visione del Veneto” e a svelare l’imbroglio imbastito dalla lega zaiana a danno dei veneti. E’ singolare che uomini come Giaretta, che hanno interpretato prima come sindaci poi come parlamentari l’autonomismo veneto, siano oggi così tentati dal non voto al prossimo referendum. La battuta del segretario Renzi sul referendum inutile ha chiamato a raccolta renziani e i suoi più fermi oppositori nel nel partito a sostegno della tesi “referendum inutile e uso politico imbroglione, quindi tutti a casa”.
A Renzi sarebbe stato interessante chiedere se il referendum del 4 dicembre è stato utile, perché l’utilità di un referendum non si può che misurare dal risultato cui conduce e dal dibattito che apre nel paese. Zaia imbroglia raccontando che con il referendum godremmo del residuo fiscale rapinato ai veneti dallo Stato sprecone? E imbroglia raccontato che saremo come Bolzano? Certo che si, e dobbiamo incalzarlo fino all’ultimo giorno per smascherarlo. Ma se non stiamo dentro al dibattito che si è aperto in Veneto, causa referendum, dentro il PD e soprattutto fuori dal PD, nei corpi intermedi, nei luoghi di lavoro, nei consigli comunali, nelle piazze e nei mercati, come potremmo mai contrastare l’uso politico improprio e presentare la nostra visione? Perché il primo effetto del referendum è proprio il dibattito pubblico che ha aperto nella comunità e che alcuni nel PD non sanno interpretare che in termini ideologici o, altrimenti, con le carte bollate. E in un dibattito pubblico popolare, non nell’autoreferenziale mondo del partito, dire che siamo per l’autonomia ma non votiamo per l’autonomia non so se riesca più o meno incomprensibile di un geroglifico. C’è nella scelta del non voto la voglia, non detta, di sottrarsi al confronto con il volto del Veneto, le sue contraddizioni, il suo diffuso e profondo, quanto ambiguo, autonomismo. E il non voto è la scelta più comoda che si possa fare per non fare i conti con il Veneto per quello che è, non per quello che vorremmo. Il disvelarsi del Veneto spaventa il PD che non sa distinguere tra quanto c’è di popolare e quanto di populista. E nella paura del populista sacrifica il popolare.
Un Veneto dove i comuni di confine chiedono di cambiare regione (Lamon, Sappada…..), dove il centro sinistra d’annata (Zanonato, Variati, Cacciari, Bettin, Galante) si era fatto promotore di un referendum per l’autonomia, dove era nato, e troppo presto morto, il movimento dei sindaci e dove, non ultima, è nata la Lega, il sindacato di territorio (Diamanti docet). Ai veneti di oggi poco importa di quello che la Lega non ha fatto quando lo poteva fare, anche se è bene ricordarlo ad ogni occasione, quanto sapere se il PD del Veneto intende rispondere in qualche modo alla domanda di autonomia o se preferisce allinearsi ai vizi e alle virtù dello stato centrale. L’abuso politico del referendum va contrastato a tutto campo, ma va abbandonato pure un certo senso di superiorità che ci affligge, che ci fa giudicare i veneti dei creduloni che, per tutta risposta, puntualmente ci ripagano votando altro. Non sarà certamente il non voto a consentirci di costruire una nostra visione del Veneto, preso com’è dal contrasto ideologico/giudiziario (con stilemi già visti ai tempi di Berlusconi). Piuttosto un nostro SI che rimarchi la via di una autonomia che coniuga efficienza, solidarietà e sviluppo, che parta dai comuni, che selezioni poche ma decisive competenze, nel segno della migliore tradizione del centro sinistra regionale. Quale che sia l’esito del referendum è stando dentro il dibattito che possiamo costruirla, valga per queste settimane come per il giorno dopo, perché chi non c’è il giorno prima poco potrà il giorno dopo. Certo, è una posizione rischiosa, più rischiosa dell’astensionismo. Poca distintiva? Può darsi, ma mi chiedo come ci si distingua dentro il gorgo astensionista dagli indifferenti, dagli sfiduciati e dall’antipolitica. A meno che non si preferisca lasciare in campo un solo autonomista, quello più ambiguo e truffaldino, e regalargli tutte le più svariate risposte, pure quelle strampalate. E noi al sicuro nel nostro angolino, soddisfatti di poter dire che siamo per l’autonomia ma non votiamo per l’autonomia. E tra noi ci capiremo alla perfezione, ma solo tra di noi.