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Il 'dopo Zaia' è già iniziato

Il Veneto oltre il solipsismo narcisistico


di Ivo Rossi



Con il parere del Consiglio di Stato e la sentenza della Corte Costituzionale riguardanti il limite dei mandati dei presidenti delle regioni, si è chiusa definitivamente la parabola di Zaia alla guida della Regione Veneto. Una stagione lunghissima, durata ben oltre i dieci anni stabiliti dalla legge per i presidenti delle regioni, con gli ultimi due malinconicamente caratterizzati dal tentativo di prolungare ad personam il numero dei mandati. Quindici lunghi anni, con in mezzo l’emergenza pandemica, che hanno accelerato una metamorfosi già in atto dell’istituto regionale, andato progressivamente trasformandosi in un regime monocratico dotato di un immenso potere esecutivo. A farne le spese è stata l’assemblea legislativa, quel Consiglio regionale, luogo della democrazia e del confronto politico, ridotto ormai ad appendice coreografica di un presidente padrone assoluto.


E’ scomparso dai radar regionali anche il confronto dialettico con i territori e le stesse città, istituzioni e comunità ridotti a ruolo di vassalli, quando non di questuanti, di un potere sempre più centralizzato. Stessa sorte subita dal modello di “partecipazione” che aveva da sempre caratterizzato la gestione regionale della sanità ed in particolare del ‘sociale’. Bisogna riconoscere che Zaia è stato bravissimo a dare l’idea di essere l’interprete unico di tutte le parti in commedia, con un presenzialismo che ha mostrato un ineguagliabile dono dell’ubiquità, fatto di inaugurazioni permanenti, presenza alle sagre, pervasivo uso dei social anche per fatti minori del più lontano angolo del territorio, quasi la regione fosse una grande proloco anziché la massima espressione, dotata di potere legislativo, della democrazia di un territorio. Si può affermare che sia avvenuto un vertiginoso salto di scala nell’esercizio del ruolo, centrato sul rapporto personale che ha trasformato il presidente nell’uomo della porta accanto, colui che quotidianamente, attraverso i teleschermi, partecipa alla conversazione nelle ore del pranzo e della cena.


Come ricordava Aldo Grasso su il Corriere della Sera: "l'eccesso di «sfera personale» è ciò che mina nelle sue fondamenta lo stato di diritto, la cui natura «impersonale» è nata per contrastare l’esercizio arbitrario del potere esecutivo. A volte, basta l’indulgenza verso un narcisismo esasperato per smarrire quel senso civico fondato sulla coscienza che solo il diritto può dare alla società con le sue norme generali, astratte e non legate a una persona".


Il progressivo svuotamento delle funzioni legislative è stato accompagnato da un processo di amministrativizzazione della regione, trasformata in una sorta di azienda-zero delle funzioni e delle politiche regionali.


La stessa proposta dell’autonomia, centrale nel racconto quotidiano, è stata un monologo a reti unificate con al centro, in completa solitudine, il presidente permanentemente intento a combattere contro i nemici di “Roma”.


Ancora una volta è toccato alla Corte Costituzionale, così come per il mandato presidenziale a vita, a riportare la discussione sull’autonomia all’interno di un modello centrato sull’equilibrio dei poteri, smontando una narrazione trasformata da Zaia, per ben tre lustri, in una sorta di mistero della fede con al centro il suo profeta.


Chiunque sarà eletto alla Presidenza della regione, e gli stessi consiglieri che andranno a far parte dell’assemblea legislativa, proprio per l’irripetibilità della stagione zaiana, sia in termini di durata, sia per le condizioni in cui si è trovato ad operare, saranno chiamati a una nuova interpretazione dei compiti che li aspettano, ritrovando quella dimensione partecipativa, il papa direbbe sinodale, che è andata scomparendo. Anche nei confronti degli enti locali, intesi come portatori della soggettività delle diversità territoriali, si è assistito ad uno svuotamento di istituti, quali il Consiglio delle autonomie locali, ridotto a luogo dell’insignificanza formalistica. Lo stesso rapporto con le categorie dei mondi dell’impresa e del lavoro, così come quello delle altre articolazioni sociali, si è ridotto a puri momenti celebrativi, svuotati dal benché minimo confronto. E l’assenza di contributi si avverte nella povertà della lettura, incapace di cogliere le innovazioni che stanno cambiando il mondo.


Ricostruire una regione che si alimenta del contributo dei tanti corpi sociali è una condizione necessaria per riconnettere il tessuto di una comunità viva, che ha visto affievolirsi i suoi legami interni.


Questione che riguarda anche i partiti che negli ultimi anni hanno visto diminuire la loro presa sociale, come testimonia la diminuzione degli iscritti, passati in Italia da oltre 4 milioni a meno di 700 mila, nonostante la popolazione nello stesso arco di tempo sia aumentata di 10 milioni.


E’ necessario, dunque, a partire dalle candidature (tutte, non solo quelle dei candidati presidenti), andare oltre il mondo di ieri, offrire ai cittadini nuovi orizzonti di riferimento, cominciare a parlarci di futuro e non solo di gestione del potere. Il piccolo è bello, con la sua dimensione narcisistica, è sempre più inservibile, perché quel mondo, che aveva posto a fondamento delle relazioni il diritto, comprese quelle commerciali, e che attraverso il diritto e le sue regole governava le controversie a livello internazionale, non esiste più. Il ritorno di logiche imperiali da parte della Russia di Putin, che hanno drammaticamente riportato la guerra in Europa, così come il più recente avvento di Trump hanno mandato violentemente in frantumi con le regole del commercio internazionale anche gli stessi rapporti fra i Paesi, sono le spie più evidenti di un cambio delle agende politiche a cui le regioni, e il Veneto in particolare, non possono pensare di sottrarsi.


E nonostante Zaia continui la sua battaglia per la presidenza a vita, il dopo Zaia è già iniziato.

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