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  • Autonomia: le proposte del Pd per uscire dallo stallo

    A quattro anni dal referendum e a tre anni dal primo accordo preliminare siglato con il governo Gentiloni, il Partito democratico del Veneto ritiene giunto il momento di aprire un dibattito con la società veneta per valutare i risultati conseguiti e le ragioni che hanno portato all’ormai evidente stallo negoziale. Appare evidente che l’impasse non può essere solo attribuita a responsabilità di altri ma investe direttamente i contenuti e la natura delle richieste avanzate dal Veneto. "Riteniamo sia giunto il momento di un’assunzione di responsabilità indicando quali possano essere le correzioni di rotta che possono aiutare a riprendere la strada verso forme di autogoverno utili al tessuto sociale e produttivo del nostro territorio", afferma il segretario regionale del PD, Andrea Martella . In questi quattro anni la narrazione domestica si è concentrata sulla richiesta di 23 materie e sul cosiddetto residuo fiscale generato dal territorio, come se la tassazione anziché sulle persone riguardasse i territori. Tale approccio ha aperto un dibattito sulle possibili disparità tra i diversi territori. È necessario correggere il tiro, ed è responsabilità del Veneto, assieme a Lombardia ed Emilia Romagna indicare, concretamente, lo spirito e il senso vero delle richieste, fatte di assunzione di responsabilità su funzioni che si ritengono meglio gestibili a livello locale, con in più la realizzazione di significativi risparmi di spesa. La legge quadro e il necessario dibattito parlamentare sull’argomento costituiscono una buona base di partenza, ma il Veneto può e deve fare di più in un’ottica di autonomia cooperativa e non più rivendicativa. Il Veneto deve lavorare per ottenere le funzioni e le risorse su alcune materie chiave, non su tutte, per la struttura sociale ed economica della nostra regione, deve avviare un confronto con cittadini, istituzioni locali e imprese degli effetti del trasferimento di competenze e, infine, istituire una commissione speciale del Consiglio regionale a supporto delle iniziative della giunta nella trattativa con lo Stato. Le competenze richieste non sono mai state oggetto, funzione per funzione, di un dibattito pubblico con i diversi portatori di interesse per misurarne il valore, la stessa utilità o eventuali criticità. È necessario che il Veneto concentri la sua iniziativa su alcune competenze proprio in funzione delle esigenze di crescita e rafforzamento della sua struttura produttiva: Competenze in materia di politiche attive del lavoro. Competenze in materia di integrazione tra politiche attive e politiche passive Competenze in materia di organizzazione delle fondazioni ITS. Competenze per la realizzazione di un sistema integrato di istruzione professionale e di istruzione e formazione professionale. Competenze in materia di sostegno all’internazionalizzazione delle imprese. Competenze in materia di governo del territorio in funzione della rigenerazione urbana. Competenze in materia di prevenzione del rischio sismico. Tra le altre iniziative, il Pd propone l’ avvio di una consultazione e di un confronto con le forze economiche e sociali, le categorie produttive e i portatori di interesse sulle esigenze per migliorare il rapporto tra la Regione e istituzioni locali, enti, cittadini e imprese alla luce dell’eventuale trasferimento di competenze. Inoltre, propone la creazione di una commissione speciale del Consiglio regionale anche al fine di migliorare l’oggetto delle richieste e di renderle più rispondenti e misurabili alle necessità del nostro territorio. Le risorse devono essere conseguenti alle scelte fatte. Le competenze richieste su specifiche materie e per determinate funzioni comportano il trasferimento su scala regionale delle relative risorse umane, materiali logistiche e finanziarie. L’obiettivo non può che essere il miglioramento della vita dei cittadini e un rapporto più semplice con la pubblica amministrazione.

  • Manovra, Martella: «Ignorati i bisogni reali di famiglie e imprese»

    «Con l’approvazione della legge di bilancio, il Governo Meloni conferma ancora una volta una visione miope e inadeguata, che non affronta i problemi reali del Paese e non sostiene la crescita. Questa manovra è fatta solo di tagli: alla sanità, alla scuola, ai comuni, ai servizi pubblici locali. È una legge che ignora completamente le priorità delle famiglie e delle aziende, come la sicurezza del lavoro, il sostegno al reddito, la riduzione dei costi energetici e la tutela dell’ambiente». Lo dice il senatore Andrea Martella , segretario del Pd in Veneto. «Le critiche – prosegue Martella - poggiano su dati concreti. Il Fondo sanitario nazionale, in rapporto al PIL, scende al 6,05%, il livello più basso degli ultimi quindici anni e tra i più bassi in Europa. In Veneto, questo significherà ulteriori difficoltà per un sistema sanitario già sotto pressione, con liste d’attesa che non diminuiscono e una fuga preoccupante di personale medico e infermieristico. Anche sul fronte scolastico la situazione è drammatica: la legge di bilancio prevede la cancellazione di oltre 7.800 posti tra docenti e personale amministrativo. E i tagli agli enti locali,  quasi 8 miliardi di euro nei prossimi cinque anni, si tradurranno in meno servizi per i cittadini, meno trasporto pubblico, meno sostegno alle famiglie in difficoltà. Questo mentre i veneti continuano a indicare lavoro, sanità e sicurezza come priorità assolute, come emerge chiaramente da una recente indagine del Centro Studi per il Veneto della UIL». L’indagine evidenzia che il lavoro è al primo posto tra le preoccupazioni dei cittadini veneti (30%), seguito dalla sanità (26,7%) e dalla sicurezza (15,4%). Tra i giovani (18-39 anni), il lavoro è ancora più centrale (34,7%), mentre per gli over 60 la sanità è la priorità per metà del campione (48%). «A queste esigenze - conclude Martella -  il Governo non offre alcuna risposta. Questa manovra non solo ignora le vere priorità delle famiglie e delle imprese, ma non affronta nemmeno le disuguaglianze crescenti e la povertà diffusa, che ormai colpiscono anche le aree più produttive del Paese. Il Partito Democratico continuerà a battersi perché la politica nazionale e regionale torni a mettere al centro i bisogni delle persone, con proposte concrete per un futuro più giusto e sostenibile».

  • Carceri. Martella: «Banco di prova di civiltà. Serve un cambio di passo»

    «Inizia il Giubileo, un tempo di speranza e rinnovamento, e Papa Francesco sceglie di aprire una Porta Santa nel carcere di Rebibbia. Un gesto simbolico e potente, che ci ricorda che le carceri non sono solo luoghi di punizione, ma anche di riscatto. Eppure, proprio in questi giorni, assistiamo a nuovi episodi di tensione anche nelle carceri venete, gli ennesimi, figli di un sovraffollamento cronico e di una carenza di risorse che non possono garantire né la dignità dei detenuti né la sicurezza degli operatori. È il segno di un sistema al collasso, che deve essere affrontato con serietà e urgenza, come ho chiesto di frequente con varie visite alle carceri e con iniziative parlamentari», dichiara Andrea Martella , segretario regionale del PD Veneto e senatore. «Nel nostro Veneto, il sovraffollamento ha superato di gran lunga la capienza regolamentare, con carceri come Santa Maria Maggiore a Venezia e l’Istituto penale minorile di Treviso che rappresentano emblemi di un’emergenza non più tollerabile. Celle sovraffollate, personale della polizia penitenziaria insufficiente, così come quello dell’area educativa e sanitaria mancanza di spazi per il lavoro, la formazione e le attività ricreative: tutto questo non fa altro che alimentare tensioni, autolesionismo e, troppo spesso, tragici suicidi. Le carceri sono diventate gironi infernali sia per i detenuti che per gli operatori», prosegue Martella. «Come Partito Democratico, abbiamo proposto un approccio diverso, che superi la logica della continua a creazione di nuovi reati e il mero inasprimento delle pene. Investire sul reinserimento sociale, sulla formazione, sul lavoro e sulle misure alternative alla detenzione non è una concessione, ma un atto di civiltà e un investimento sulla sicurezza collettiva. Il carcere non può essere l’unica risposta a tutti i problemi: senza un progetto di recupero, aumenta il rischio di recidiva e si perde l’opportunità di costruire un futuro migliore», spiega il segretario veneto del PD. «Chiediamo al Governo di agire subito: potenziando gli organici, migliorando le condizioni strutturali degli istituti e garantendo il pieno rispetto del dettato costituzionale sul fine rieducativo della pena. conclude Martella. "Il grado di civiltà di un Paese si misura anche dalla condizione delle sue carceri. L’Italia e il Veneto devono essere all’altezza di questo principio, per garantire dignità, sicurezza e riscatto a tutti».

  • La Regione aumenta le tasse alle imprese ma dimentica lavoro e crescita

    Martella: «Incrementare l'Irap significa colpire il cuore produttivo del Veneto» «Aumentare l’Irap significa colpire il cuore produttivo del Veneto», dichiara Andrea Martella , segretario regionale del Partito Democratico Veneto, «e proprio in un momento di difficoltà per l’economia italiana e regionale. Con una preoccupante flessione della produzione industriale nazionale - in calo da 21 mesi consecutivi - e un aumento delle difficoltà per le piccole e medie imprese venete. In questo scenario, le parole di ieri del presidente veneto di Confindustria rappresentano un segnale d’allarme che sarebbe sbagliato ignorare. Carraro ha parlato apertamente di elementi di difficoltà e persino di crisi, specie in certi settori dell’impresa veneta. Che in queste stesse ore la maggioranza di centrodestra in Regione Veneto voti l’aumento delle tasse al mondo produttivo è un errore strategico». La decisione della Regione Veneto di incrementare l’Irap ha scatenato dure critiche da parte delle associazioni di categoria. Martella sottolinea come questo approccio non penalizzi solo le imprese, ma anche i lavoratori: «Dietro ogni azienda ci sono posti di lavoro, famiglie, comunità. Oggi vediamo aumentare anche qui la cassa integrazione e rallentare le assunzioni nei comparti strategici. Il Veneto ha bisogno di politiche che favoriscano produzione e lavoro, non di interventi che aggravano la crisi». «Ma la nostra critica - prosegue Martella - non si limita a questa scelta miope di tassazione: il vero problema è l’assenza di una visione strategica per il lavoro e la crescita. Poche ore fa da Roma è arrivata la doccia fredda del mancato finanziamento alla ZLS, su cui avevamo chiesto con emendamenti a mia firma fondi per 250 milioni di euro l’anno. Più in generale, la Regione non ha fatto nulla, al di là delle chiacchiere e dei proclami, per attrarre investimenti in campo industriale. La stessa assenza di visione e di coraggio che permea la legge di bilancio nazionale si riflette purtroppo in quella regionale». Il PD Veneto propone un cambio di rotta attraverso alcune politiche definite. «Nel nostro ‘Patto per la Crescita’ abbiamo tracciato le linee guida per un rilancio dell’economia regionale. Oltre al ripristino dei fondi per il settore automotive, servono investimenti per l’autonomia energetica delle imprese, la digitalizzazione e la semplificazione normativa: a partire da Industria 5.0, le cui procedure sono oggi ostiche per le imprese. Ma è altrettanto urgente intervenire sul lavoro: formazione continua, accompagnamento verso le nuove professioni e sostegno ai lavoratori nei settori in transizione sono priorità imprescindibili». Martella conclude con una battuta polemica: «Il Veneto è una grande regione produttiva, che guarda lontano; la Regione Veneto purtroppo ha una visione ridottissima. Invece di sostenere imprese e lavoratori, alza le tasse e lascia che le comunità affrontino da sole le difficoltà».

  • Le città amministrate dal centrosinistra trainano la qualità della vita in Veneto

    I dati della classifica annuale del Sole 24 Ore sulla qualità della vita nelle province italiane confermano un trend chiaro per il Veneto. Le province con capoluoghi amministrati dal centrosinistra registrano i miglioramenti più significativi: Verona guadagna tre posizioni e si piazza al settimo posto a livello nazionale, Vicenza avanza di ben quattordici posizioni fino all’ottavo posto, mentre Padova sale di una posizione raggiungendo il diciottesimo posto. Al contrario, le province con i capoluoghi governati dal centrodestra sono nella parte più bassa della graduatoria e registrano tutte un declino, con il caso eclatante di Venezia, che crolla di quattordici posizioni. Rovigo, che a metà di quest’anno ha cambiato amministrazione del capoluogo passando dal centrosinistra al centrodestra, registra un miglioramento di quindici posizioni fino al cinquantatreesimo posto. Un risultato che riflette le scelte amministrative precedenti al cambio di governo. «Questi dati confermano che il buon governo del centrosinistra si traduce in risultati concreti», dichiara Andrea Martella , segretario regionale del PD Veneto. «Saper governare significa migliorare la qualità della vita delle persone, promuovere lo sviluppo economico e sociale dei territori, creare città più vivibili, più sostenibili e più giuste. Verona, Vicenza e Padova dimostrano che con una visione chiara e con politiche efficaci si possono affrontare con successo le sfide del presente». Martella sottolinea come i territori amministrati dal centrosinistra abbiano puntato su politiche innovative e inclusive: «La nostra proposta politica mette al centro il benessere delle comunità e una qualità della vita che affianca ai parametri della crescita economica altri valori: sviluppo sostenibile, coesione sociale e opportunità per i giovani e le famiglie». Infine, Martella evidenzia una criticità trasversale a tutte le province venete, indipendentemente dal colore politico delle amministrazioni locali: la sicurezza. «Le province venete, a prescindere dal colore politico dei capoluoghi, occupano in questo campo in media posizioni peggiori rispetto alla media delle posizioni generali in classifica. Quasi tutte le province hanno proprio nella sicurezza un dato peggiorativo. Da tempo denunciamo la disattenzione del Governo nazionale verso un territorio complesso, attrattivo e aperto al mondo come il nostro. Dicendo che servono risposte concrete, non slogan: politiche di sicurezza integrata, che investano nella prevenzione, nel presidio del territorio e nel coinvolgimento delle comunità». «Se oggi il Veneto occupa posizioni di vertice nella classifica dei territori italiani dove si vive meglio, con due territori nella top ten, è anche grazie all’ottimo lavoro che stanno facendo le amministrazioni di centrosinistra. Un modello di buon governo che puntiamo a esportare anche alla Regione», conclude Martella.

  • Autonomia differenziata: la rivoluzione della Corte costituzionale

    di Ivo Rossi e Alberto Zanardi La decisione della Cassazione arrivata in queste ore, che ammette il referendum sull'abrogazione totale della legge Calderoli in materia di autonomia differenziata – e su cui ci riserviamo una valutazione più ponderata – segnala una volta di più, al di là del possibile esito referendario, l’urgenza di un nuovo disegno ordinato delle autonomie regionali. Su questo, la sentenza della Corte costituzionale , che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di alcune parti fondamentali della legge Calderoli, fornisce un contributo decisivo (i contenuti essenziali della sentenza erano stati anticipati nel comunicato della Corte che avevamo già commentato qui ). I confini di un regionalismo coerente con la Costituzione In realtà la sentenza va ben oltre le censure su specifiche disposizioni della legge Calderoli. Inserisce i suoi richiami puntuali, in una lettura complessiva dell’art. 116 c. 3 coerente con principi fondamentali della nostra Costituzione. I giudici della Corte affermano con nettezza il carattere cooperativo del nostro regionalismo, il quale pur rispondendo “ad un’esigenza insopprimibile” della collettività nazionale, non può mai diventare “un fattore di disgregazione dell’unità nazionale e della coesione sociale”. E ancora la Corte evidenzia, in modo che non può essere più chiaro, come “il popolo e la nazione sono unità non frammentabili. Esiste una sola nazione così come vi è solo un popolo italiano, senza che siano in alcun modo configurabili dei “popoli regionali” che siano titolari di una porzione di sovranità”. Dopo aver fissato i punti fermi del modello di regionalismo coerente con la Costituzione, la Corte, con una tecnica che combina interventi di revisione puntuale (in via additiva) con l’enunciazione di indicazioni di più ampio respiro che lasciano al legislatore l’onere successivo dell’aggiustamento, riconosce l’incostituzionalità di una serie di pilastri portanti della legge Calderoli, già anticipati nel comunicato. La distinzione tra materie e funzioni In particolare, la sentenza afferma che l’autonomia differenziata si realizza attraverso l’eventuale attribuzione di funzioni, intese come “compiti omogenei affidati dalla norma giuridica ad un potere politico” e non invece di materie, in quanto “a ciascuna materia afferiscono una gran quantità di funzioni eterogenee, per alcune delle quali l’attuazione del principio di sussidiarietà potrà portare all’allocazione verso il livello più alto, mentre per altre sarà giustificabile lo spostamento ad un livello più vicino ai cittadini”. Insomma, l’autonomia differenziata non può realizzarsi nell’attribuzione di blocchi di intere materie, ma soltanto di specifiche funzioni la cui richiesta “va giustificata e motivata con precipuo riferimento alle caratteristiche della funzione e al contesto (sociale, amministrativo, geografico, economico, demografico, finanziario, geopolitico ed altro) in cui avviene la devoluzione, in modo da evidenziare i vantaggi – in termini di efficacia e di efficienza, di equità e di responsabilità”. E queste richieste di funzioni devono essere “precedute da un’istruttoria approfondita, suffragata da analisi basate su metodologie condivise, trasparenti e possibilmente validate dal punto di vista scientifico”. La Corte procede poi di fatto ad applicare queste indicazioni di metodo, arrivando ad individuare insiemi di funzioni per i quali il trasferimento è sì possibile ma “in linea di massima difficilmente giustificabile secondo il principio di sussidiarietà”: il commercio con l’estero, la tutela dell’ambiente, la produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia, i porti e aeroporti civili, le grandi reti di trasporto e di navigazione, le professioni (in particolare quelle ordinistiche), l’ordinamento della comunicazione, le norme generali dell’istruzione. La sentenza avverte che “le leggi di differenziazione che contemplassero funzioni concernenti le suddette materie potranno essere sottoposte ad uno scrutinio stretto di legittimità costituzionale”. Di fatto, la Corte ridefinisce il perimetro delle funzioni regionalizzabili previste dall’art. 116, c. 3 e dall’articolo 117, c.3, escludendo quelle in cui i principi fondamentali della Costituzione e l’ordinamento unionale determinano ostacoli difficilmente superabili per una loro devoluzione asimmetrica. Il focus della Corte sulle funzioni, e non più sulle materie, come oggetto di regionalizzazione asimmetrica rimescola le carte riguardo a un elemento chiave dell’architettura della legge Calderoli: la distinzione tra materie Lep e materie no-Lep, le prime che devono attendere la determinazione dei Lep – e dei relativi fabbisogni standard – per essere eventualmente regionalizzate, le seconde che invece possono essere oggetto di trattativa fin da subito. In realtà, come sopra riportato, le materie sono in generale “contenitori” di molteplici funzioni eterogenee in quanto a rilievo dei Lep, ed è a queste ultime che, dice la Corte, bisognerebbe guardare. Stabilisce infatti che qualora “lo Stato intenda accogliere una richiesta regionale relativa a una funzione rientrante in una materia “no-Lep” e incidente su un diritto civile o sociale, occorrerà la previa determinazione del relativo Lep, a partire dal costo standard”. Il finanziamento delle funzioni devolute La Corte giudica poi incostituzionale tutto il procedimento di determinazione dei Lep previsto dalla legge Calderoli (e dalla legge di bilancio del 2023, con il ruolo della Cabina di regia e della Commissione tecnica fabbisogni standard), che esclude il Parlamento, e attribuisce al Governo una “delega in bianco”. Senza ricorrere a una dichiarazione di incostituzionalità, la sentenza riconosce poi al Parlamento prerogative piene nell’approvazione della legge (rinforzata) di approvazione dell’intesa, con possibilità di apportare modifiche sostanziali all’accordo concluso tra Governo e Regione richiedente e non invece limitarsi, come previsto dalla legge Calderoli, a un mero “prendere o lasciare”. La Consulta afferma poi la “doverosità” e non la “facoltatività” del concorso delle Regioni differenziate agli obiettivi di finanza pubblica nazionale, così come la non-applicabilità dell’autonomia differenziata alle Regioni a statuto speciale. Per queste ultime “l’ulteriore specializzazione e il rafforzamento dell’autonomia devono scorrere sui binari della revisione statutaria e, entro certi limiti, delle norme di attuazione degli statuti speciali”. La sentenza interviene poi sulla questione assai articolata del finanziamento delle funzioni trasferite, lasciando per la verità qualche dubbio interpretativo. Da un lato, prescrive che anche per le funzioni no Lep le risorse da attribuire siano determinate secondo fabbisogni standard, per non finanziare eventuali inefficienze insite nella spesa storica, forse sottovalutando le difficoltà tecniche che rendono problematica la standardizzazione in assenza di un aggancio a specifiche prestazioni da fornire ai cittadini, come sono appunto i Lep. Dall’altro lato, suona un po’ singolare la previsione che nel caso in cui il costo effettivo delle funzioni devolute sia inferiore alle risorse attribuite secondo i fabbisogni standard, le risorse risparmiate debbano essere arretrate dalla Regione allo Stato: se risultato di un’efficienza superiore a quella assunta nella determinazione dello standard, queste risorse dovrebbero essere legittimamente trattenute dalla Regione. Infine, la Corte critica la legge Calderoli quando prevede di ricorrere a un mero decreto interministeriale per la revisione periodica delle aliquote di compartecipazione dei tributi erariali impiegati per finanziare le funzioni trasferite allo scopo di garantire l’allineamento tra risorse e fabbisogni. Certamente quando la Corte prescrive che sia il Parlamento ad occuparsene, attraverso lo strumento della legge rinforzata, offre maggiore trasparenza a questo ingranaggio assai delicato del meccanismo di finanziamento. Tuttavia, questa soluzione, con cui si affida ad ogni singola intesa stabilire le modalità di revisione periodica, non sembra assicurare quel coordinamento trasversale nella valutazione della posizione finanziaria tra le singole Regioni differenziate che è stato da più parti raccomandato (rischio di sfasamenti nei tempi e nei metodi di calcolo e di monitoraggio di fabbisogni standard, gettiti da compartecipazioni, Lep). Verso un Senato delle regioni? Infine, la sentenza sottolinea con forza, in una visione integrata del regionalismo, la necessità di dare finalmente attuazione al federalismo fiscale “simmetrico” sulle funzioni già oggi attribuite a tutte le Regioni a statuto ordinario, che è ancora lettera morta dalla legge 42 del lontano 2009. Da un lato, dunque la Corte stringe le maglie della devoluzione di nuove funzioni a singole Regioni – da giustificare, come detto, sulla base di specificità dei territori non facili da dimostrare –, dall’altro, lascia prefigurare come il dibattito sull’autonomia differenziata potrebbe alla fine condurre, più fondatamente, a una nuova stagione di devoluzione di alcune funzioni pubbliche ma a favore tutto il comparto regionale e non di singoli territori. Insomma, si tratta di una sentenza che reinserisce il regionalismo e la differenziazione dentro binari che sembravano essersi smarriti per strada indicando, allo stesso tempo, come affermato proprio in questi giorni dallo stesso Presidente della Camera Lorenzo Fontana la necessità di rivedere il riparto di competenze del 117, c. 3 della Costituzione. Una strada già indicata anche da alcuni disegni di legge di revisione costituzionale presentati dalle opposizioni che lasciano intravvedere, proprio su questo specifico terreno delle riforme, una possibile convergenza bipartisan all’insegna di un nuovo regionalismo, rinforzato e convergente al centro con la trasformazione del Senato nella Camera delle Regioni, come avviene in tutti gli altri Paesi federali. Articolo pubblicato originariamente su Lavoce.info

  • La sentenza della Corte svuota la legge Calderoli

    di Ivo Rossi   La sentenza, con la quale la Corte Costituzionale ha “riscritto” la legge sull’autonomia differenziata, è oggetto di due opposte letture: da una parte le forze di governo che tendono a minimizzarne gli effetti, dall’altra si sottolinea come l’intervento della Consulta, non solo incida su aspetti chiave della norma, ma soprattutto riconduca la necessaria riscrittura ai principi fondamenti della nostra Carta costituzionale. C’è chi come il presidente Zaia, con piglio ragionieristico da competizione sportiva, riduce le 109 pagine della sentenza a uno scontro ai punti con le regioni ricorrenti: 14 a favore dei ricorrenti, 13 respinte e 25 infondate. La realtà è come sempre più complessa di qualsiasi banalizzazione di comodo. Infatti i giudici della Corte, nel richiamare i principi di unità e indivisibilità della Repubblica, hanno ribadito il carattere cooperativo del nostro regionalismo che non può mai diventare “un fattore di disgregazione dell’unità nazionale e della coesione sociale”. “Il popolo e la nazione sono unità non frammentabili. Esiste una sola nazione così come vi è solo un popolo italiano, senza che siano in alcun modo configurabili dei “popoli regionali che siano titolari una porzione di sovranità”. Un richiamo molto forte che riporta su binari costituzionali le tante suggestioni che hanno lasciato immaginare, in particolare nel nostro Veneto, l’autonomia come sinonimo dell’indipendenza. L’eventuale differenziazione, “esigenza insopprimibile del nostro regionalismo” dovrà dunque essere improntata al “principio di sussidiarietà”, che si esprime attraverso l’eventuale attribuzione di funzioni, intese come “compiti omogenei” e non invece di materie (le 23 diventate un numero magico) in quanto “a ciascuna materia afferiscono una gran quantità di funzioni eterogenee, per alcune delle quali l’attuazione del principio di sussidiarietà potrà portare all’allocazione verso il livello più alto, mentre per altre sarà giustificabile lo spostamento ad un livello più vicino ai cittadini”. In sostanza “il principio di sussidiarietà richiede …si realizzi la soluzione più efficiente”. Ed anche qua la Corte, rispetto al modello di negoziazione fin qui avviata su fragili basi politico mercantili, afferma che “l’iniziativa della Regione e l’intesa devono essere precedute da un’istruttoria approfondita, suffragata da analisi basate su metodologie condivise, trasparenti e possibilmente validate dal punto di vista scientifico”. Questo puntuale richiamo appare come una censura indiretta delle richieste fin qui effettuate dalle regioni, in quanto prive di argomentazioni a supporto sia sul versante dell’efficienza auto dichiarata che della misura e quantificazione degli effetti sul sistema e sul rapporto con le altre autonomie. Affermare, come si continua a leggere in questi giorni, che la negoziazione continua sulle 9 materie no-Lep, dopo che la Corte ha dichiarato, non solo che l’unità di riferimento sono le funzioni e non le materie, ed ha indirettamente considerato arbitraria la stessa distinzione fra materie Lep e no-Lep, in quanto potrebbero “emergere situazioni di diritti civili e sociali”, appare una plateale violazione della sentenza, tanto più se consideriamo l’aleatoria in-consistenza delle richieste. La Corte, riflettendo sulle mutate condizioni geopolitiche e sulla rilevanza del diritto dell’Unione Europea su una molteplicità di competenze, ha affermato che la sussidiarietà, intesa “come un ascensore” che porta ad allocare le funzioni nel modo più efficiente, di fatto esclude il conferimento di ben 8 materie, fra le quali spiccano, il commercio con l’estero, le norme generali sull’istruzione, le grandi reti di trasporto e la produzione di energia. Qualche dubbio interpretativo la sentenza lascia trasparire sulle delicatissime questioni finanziarie, perché se è ben vero che i paletti posti nella determinazione delle risorse richiamano la determinazione dei fabbisogni e dei costi standard, escludendo la previsione della legge Calderoli che invece per le materie no-Lep si rifaceva alla spesa storica, e altrettanto vero che l’affidamento alle singole intese della regolazione della dotazione necessaria, lascia aperto un problema che il previsto monitoraggio annuale di misura dello scostamento fra il valore dei fabbisogni e l’andamento dei singoli gettiti regionali, sembrava cogliere appieno. La garanzia che sia il Parlamento a occuparsene, e non invece il governo con DPCM, è sicuramente un passo avanti importantissimo che ne riafferma la centralità e sovranità in tutta la fase del procedimento. Insomma una sentenza che, a dispetto dei cantori del va tutto bene, reinserisce il regionalismo e la differenziazione dentro binari che sembravano essersi smarriti per strada. Un passo avanti importante che mostra, una volta di più, la necessità di superare il regionalismo conflittuale degli ultimi anni e il necessario concorso dei territori alle politiche pubbliche nazionali all’interno di un Senato delle regioni, come avviene in tutti gli altri Paesi federali.

  • Martella: «Autonomia, dopo 15 anni di Zaia resta solo il fallimento»

    «Dopo la decisione della Cassazione, che ammette il referendum abrogativo della legge Calderoli, cosa deve ancora accadere perché il governo e Zaia si fermino? Come abbiamo sempre sostenuto, il percorso verso l'autonomia differenziata è stato gestito in modo frettoloso, approssimativo e divisivo e va riscritto da capo. La Corte Costituzionale aveva già dichiarato profili di incostituzionalità nella legge, ma la Lega e Zaia hanno preferito ignorare i rilievi, dipingendoli come irrilevanti. Non solo: con la stessa sicumera ci hanno spiegato che proprio quelle ‘marginali’ richieste di modifica della Corte Costituzionale avrebbero annullato il referendum. Ebbene, in poche settimane abbiamo avuto la pubblicazione delle motivazioni delle bocciature, che si sono rivelate su materie centrali; e, oggi, il via libera al referendum abrogativo», dichiara Andrea Martella , segretario regionale del Partito Democratico Veneto. «Hanno sbagliato la legge e ora si arrampicano sugli specchi, ma la realtà non si può nascondere. Zaia governa il Veneto da 14 anni, e sono passati 7 anni dal referendum regionale per realizzare l'autonomia. Ebbene, tra promesse mancate, litigi interni e scelte frettolose, i risultati sono sotto gli occhi di tutti: nulla di concreto. Questo era un progetto che doveva essere portato avanti in modo responsabile, serio, rispettoso della Costituzionale, e magari dialogando con chi, come noi, da anni indica gli inevitabili ostacoli. Ora, grazie a Zaia e soci, l’autonomia è di nuovo al palo», conclude Martella.

  • Bilancio regionale, "la politica Tax Free di Zaia in realtà non esiste"

    La Capogruppo Dem Vanessa Camani e i consiglieri regionali del Partito Democratico hanno presentato le loro proposte in materia di bilancio per far fronte alle principali emergenze presenti nella nostra Regione: “la sanità pubblica, ospedaliera e territoriale, che negli ultimi anni sta conoscendo un progressivo sgretolamento e che ci preoccupa moltissimo; l’ambiente, in particolare la fragilità idrogeologica dei territori, rispetto a cui servono politiche nuove, adatte al livello di emergenza in atto; tutte le politiche sociali, in primis anziani, disabilità e giovani, che sono stati completamente dimenticati nel bilancio regionale di previsione - ha spiegato la Capogruppo – Abbiamo presentato 163 emendamenti al bilancio di previsione e oltre 300 alla Nota di Aggiornamento al DEFR 2025- 2027, anche se sarebbe un po’ come curare un malato grave con l’aspirina, perché secondo noi questo bilancio sarebbe completamente da riscrivere”. La Capogruppo Camani ha poi “smascherato le fake news di Zaia sul fronte delle tasse: in realtà, non esiste una politica Tax Free se poi i cittadini sono costretti a pagarsi i servizi che non vengono assicurati in modo sufficiente su tutto il territorio regionale. Oggi cerchiamo di ribaltare quel paradigma narrativo che ci è stato propinato da Zaia negli ultimi anni e che ora viene smentito dai fatti, dato che il presidente della Regione è costretto a mettere le mani in tasca alle oltre 400 mila imprese venete aumentando l’IRAP. Se il Veneto avesse applicato il livello medio di tassazione delle altre Regioni, avrebbe potuto incassare 360 milioni l’anno, ovvero 5 miliardi in 14 anni. Invece, con la politica ‘0 Addizionale Irpef’ la Regione ha lasciato 60 euro l’anno nelle tasche dei cittadini con redditi inferiori a 28 mila euro (7 veneti su 10), e 662 euro a quanti hanno redditi superiori a 50 mila euro (meno di un veneto su 10). Questi ‘risparmi’ stridono con la spesa media che un pensionato deve affrontare per pagarsi i servizi sanitari nel Privato: 1.223 euro; mentre un lavoratore è costretto a sborsare per curarsi mediamente 1.145 euro. Per non parlare dell’importo medio mensile delle borse di studio: da 150 a 500 euro; e le case di riposo per i nostri anziani hanno una retta media mensile che si aggira sui 2 mila euro”. Chiara Luisetto ha posto l’accento sull’“aumento dell’IRAP che avrà un impatto sulle imprese venete stimato tra i 200 e i 10 mila euro di incremento annuo in base all’imponibile; l’IRAP si applicherà alle società di capitali e di persone, agli studi professionali, agli enti del Terzo settore, agli enti e alle amministrazioni pubbliche. In base agli emendamenti della Giunta regionale, il gettito dell’IRAP per il prossimo triennio è così quantificato: 79,8 milioni nel 2025; 82,1 milioni nel 2026; 84,6 milioni nel 2027. Faccio presente che il presidente Zaia aumenta l’IRAP per pagare la Superstrada Pedemontana Veneta, che costerà ai veneti 42,5 milioni nel 2025, 37,5 milioni nel 2026 e 33 milioni nel 2027, nonché per ovviare ai pesanti tagli operati dal Governo Meloni al bilancio regionale: 22,3 milioni nel 2025. In pratica, rimangono 9.920 milioni che la Regione Veneto distribuisce in modo discutibile. Mentre l’indebitamento sarà di 172 milioni nel 2025 (più 3 milioni per Spresiano e 6 milioni per palazzetti del ghiaccio), di 122 milioni nel 2026 (più 6 milioni per palazzetti del ghiaccio), e di 50 milioni nel 2027 (più 6 milioni per palazzetti del ghiaccio)”. Per la vicepresidente del Consiglio regionale Francesca Zottis “servono risposte immediate alle esigenze reali dei cittadini veneti, a iniziare dalle azioni da mettere in campo per cercare di arginare le aggressioni al personale sanitario, soprattutto nei Pronto soccorsi, per finanziare le quali chiediamo di stanziare 2 milioni (spesa corrente), inserendo personale di vigilanza all’interno degli ospedali HUB del Veneto. Dobbiamo aumentare la sicurezza percepita e quella reale”. La vicepresidente della commissione consiliare Sanità e Sociale, Anna Maria Bigon , ha evidenziato la “necessità di potenziare la medicina territoriale che è un servizio fondamentale, soprattutto alla luce del progressivo invecchiamento della popolazione. Proponiamo di stanziare 1,5 milioni (spesa corrente) per la rivalutazione delle borse di studio dei medici di medicina generale, al fine di renderle più attrattive, anche dal punto di vista economico, e poter far così fronte alla fuoriuscita dei medici che nei prossimi anni andranno in pensione”. Il vicepresidente della Seconda commissione consiliare, Jonatan Montanariello , ha chiesto “un impegno di 5 milioni, in spesa corrente, per il fondo a sostegno degli affitti per i giovani. È una battaglia di civiltà per consentire ai nostri giovani di potersi realizzare nella vita privata e professionale, di poter pianificare il proprio futuro. Altrimenti è inutile che ci chiediamo perché così tanti ragazzi e ragazze decidono di lasciare il Veneto”. Andrea Zanoni , presidente della commissione consiliare Legalità e valutazione delle politiche pubbliche, ha indicato come prioritario “creare fondi per l’acquisto di idrovore, alla luce delle conseguenze dei cambiamenti climatici, con frequenti e devastanti esondazioni. L’impegno richiesto è quantificato in 5 milioni in conto capitale”.

  • Tagli agli enti locali: “Nuovi esempi da Padova e Rovigo”

    Prosegue la campagna del Partito Democratico Veneto “ Pagano i cittadini! ”, che denuncia gli effetti concreti dei tagli agli enti locali decisi dal governo Meloni. Dopo aver analizzato e presentato casi nelle province di Treviso, Belluno, Vicenza, Verona e Venezia, il PD conclude questo primo ciclo della sua campagna con quattro nuovi esempi dai territori di Padova e Rovigo. "Di provincia in provincia – evidenzia  Andrea Martella , segretario regionale del PD Veneto – emerge chiaro l’impatto devastante delle scelte del governo Meloni. I Comuni sono costretti a ridurre i servizi essenziali o a incrementare la pressione fiscale locale, con gravi ripercussioni su famiglie e imprese. Stiamo raccogliendo segnalazioni da tutta la regione, e continueremo a denunciare una situazione che è ormai insostenibile per le comunità locali. Altro che autonomia: questo è il federalismo alla rovescia, lo Stato centrale che costringe i sindaci a tagliare o ad aumentare le tasse".   Ad  Abano Terme (Padova) , città di 20 mila abitanti, il vicesindaco e assessore al bilancio  Francesco Pozza  spiega come la somma di tagli e aumenti dei costi stia portando il bilancio locale al limite: “Nel 2024 abbiamo subito un taglio di 115 mila euro; tra il 2025 e il 2027, ne prevediamo altri 530 mila. In totale, quasi 650 mila euro di risorse in meno. Se aggiungiamo l’aumento delle spese per i servizi sociali, come i ricoveri degli anziani indigenti, la situazione diventa drammatica. Nel 2024, la nostra spesa per queste compartecipazioni è passata da 110 mila a 380 mila euro. Con questi tagli non riusciremo più a rispondere ai bisogni della cittadinanza”.   A  Due Carrare (Padova) , comune di 9 mila abitanti, il sindaco  Davide Moro  denuncia un aumento della pressione fiscale come unica alternativa ai tagli: “Abbiamo sempre mantenuto l’aliquota dell’addizionale Irpef tra le più basse della regione, ma ora siamo stati costretti ad alzarla. Oltre a ciò, sul fronte socio sanitario abbiamo integrato con 20 mila euro il fondo disabili per la copertura del periodo settembre - dicembre 2024. Così si scaricano sui comuni, senza la minima condivisione, non solo i maggiori costi ma anche la responsabilità delle scelte prese a livelli più alti”.   Ad  Ariano nel Polesine (Rovigo) , 4 mila abitanti, la sindaca  Luisa Beltrame  evidenzia il rischio di abbandono del territorio: “I tagli ammontano già a 30 mila euro nel 2024 e raddoppieranno a 60 mila euro l’anno nei prossimi anni. Abbiamo solo due operai per gestire 40 chilometri di strade arginali e molte frazioni. Come possiamo mantenere un territorio di pregio come il nostro, che include un sito archeologico di rilevanza nazionale, senza risorse per le manutenzioni?”.   A  Gaiba (Rovigo) , 950 abitanti, il sindaco  Nicola Zanca  lancia un appello per rifinanziare i contributi del decreto Crescita destinati ai piccoli comuni: “Nel quinquennio 2024-2028 perdiamo 27 mila euro con la spending review. I tagli ci hanno tolto la possibilità di fare manutenzioni straordinarie o investimenti di base. Dal 2000 ad oggi, mentre la spesa dello Stato è raddoppiata, i trasferimenti ai Comuni sono calati del 40-50%. È lo Stato che fa cassa con i Comuni”.   Martella conclude: “I Comuni veneti non possono più sostenere questo carico. Chiediamo al governo di invertire rotta e alla Regione di prendere una posizione chiara. È in gioco il futuro delle nostre comunità locali, dei servizi essenziali e della qualità della vita di tutti i cittadini”.

  • Migranti, Martella: «Dal Governo serve chiarezza e supporto sulla rotta balcanica»

    «I comuni del Nordest, da Venezia a Verona, si trovano a fronteggiare una situazione critica legata ai flussi migratori della rotta balcanica, senza un adeguato supporto da parte del Governo. I migranti che da Trieste accedono in Italia finiscono, in assenza degli adeguati supporti, letteralmente per strada, in attesa di capire se potranno essere regolarizzati. È necessario intervenire subito per evitare che il peso di questa emergenza gravi esclusivamente sugli enti locali e sulle associazioni di volontariato». Così Andrea Martella , segretario regionale del Partito Democratico Veneto e senatore, in un'interrogazione parlamentare rivolta al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro dell’Interno. L’interrogazione, sottoscritta da Martella e altri parlamentari del Partito Democratico, richiama l'attenzione sul rischio che il Governo a fronte del recente ‘Decreto Flussi’ trascuri le rotte via terra come quella balcanica. «La ripresa delle tensioni internazionali, unite alle operazioni militari in Siria, stanno aggravando una situazione già critica. Serve un piano concreto che preveda risorse economiche adeguate e percorsi istituzionali condivisi, affinché i comuni non siano lasciati soli in una situazione che potrebbe degenerare anche sul piano dell’ordine pubblico». Martella sottolinea come l’iniziativa sia partita da amministrazioni comunali di diverso colore politico – tra cui Venezia, Padova, Vicenza e Verona – a dimostrazione di quanto il problema non abbia confini ideologici. «Le istituzioni locali stanno facendo la loro parte, ma non possono sopperire alle carenze di un Governo che sembra ignorare la gravità della situazione». Il Partito Democratico si impegna a monitorare da vicino la questione e a chiedere che il Governo risponda con serietà e tempestività alle richieste delle amministrazioni locali.

  • Consumo suolo, Favero: «Veneto maglia nera, così si distrugge il nostro futuro»

    «Secondo l’annuale rapporto sul consumo di suolo elaborato dall’ISPRA e dal Ministero dell’Ambiente il Veneto, dopo la Lombardia, è la seconda regione italiana per terreno andato perduto con un valore pari all'11,86 per cento del totale. Una colata di cemento che non segna purtroppo battute di arresto. Perdere terreno vergine significa aumentare il rischio idrogeologico, non combattere il cambiamento climatico in atto, restare privi di spazi utili alle nostre produzioni agricole di qualità. Ma anche bollette più care per raffreddare le nostre case e i nostri uffici a causa delle bolle di calore che si formano negli spazi troppo urbanizzati». Così Matteo Favero , responsabile Ambiente e Infrastrutture del PD Veneto, commenta i dati sul consumo di suolo presentati dall’Ispra.  «È quindi evidente», afferma Favero, «anche considerato il maggior incremento annuale in assoluto registrato dalla nostra regione nel 2023 (891 ettari) che la legge regionale 14/2017 che mirava a ridurre progressivamente il consumo di suolo non ancora urbanizzato in Veneto, sia del tutto inefficace e che ci sia la necessità di un cambio di rotta; con migliaia di capannoni vuoti e centinaia di aree dismesse una risposta sostenibile, che peraltro crea molto lavoro, è data dall’incentivo alla rigenerazione degli spazi abbandonati. E il nuovo testo unico sulla pianificazione del territorio ‘Veneto territorio sostenibile’ della giunta Zaia non fa purtroppo ben sperare. Da qui nascono le cinque proposte del PD regionale ‘Curare il Veneto’, presentate ad ottobre scorso, per la salvaguardia dell’ecosistema ambientale veneto: stop al consumo di suolo, rinaturalizzazione delle cinture urbane, rigenerazione urbana, un piano per l'acqua, tutela dei fiumi e nuovi bacini di laminazione. Infine, una proposta all’ANCI: ogni comune del Veneto metta in homepage del proprio sito istituzionale la percentuale di aree edificate nel proprio territorio di competenza. Un atto di trasparenza nelle scelte amministrative e una presa di coscienza per salvare quel poco di territorio e di biodiversità rimasti in Veneto».

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