Le argomentazioni di Francesco Jori sul modello veneto a rischio - Mattino di Padova, 14 marzo - hanno sicuramente il merito di innescare una riflessione che non può essere elusa dal dibattito pubblico.
Le sfide del cambiamento, che erano chiare anche prima del 2020, dopo due anni di pandemia e con la guerra alle porte dell’Europa, si sono trasformate per il Veneto da opportunità in vere e proprie necessità.
Il covid ha fatto esplodere le diseguaglianze e le fragilità strutturali. E il conflitto in Ucraina produrrà, e anzi giàproduce, conseguenze pesantissime sull’economia e sulla vita delle persone.
Dentro questo 'contingente' complicato sta la sfida più epocale di tutte: quella di ripensare lo sviluppo del Veneto eproiettarlo nel futuro, in una ottica di sostenibilità ambientale, competitività e responsabilità sociale.
Guardiamo i dati. Non tanto per i dati in sé quanto per la mancanza di effetti che hanno prodotto.
Emigrazione. Ogni anno il Veneto perde circa 12 mila giovani. Molti hanno una laurea in tasca e scelgono,probabilmente sono in qualche modo costretti a scegliere, regioni o Paesi dove le possibilità di successo sono maggiori. Innovazione. Se si esclude la registrazione dei marchi e l’applicazione di design, tutti gli altri 16 indicatori diinnovazione e competitività del nostro sistema economico, pubblico e privato, sono, secondo l’indice di competitivitàdelle regioni europee (RCI 2019), inferiori a quelli di Lombardia o Emilia Romagna.
Lavoro. Oltre alla perdita di capitale umano, le retribuzioni di ingresso sono tra le più basse del nord Italia.
Ambiente. Tra consumo di suolo, inquinamento delle falde e dell’aria e reati ambientali legati al ciclo dei rifiuti, ilVeneto è una delle regioni più a rischio d’Italia.
In pochi anni il Veneto ha inoltre perso centralità. Mi riferisco alle banche, alle multiutility e alle fiere. Chi governa laRegione ha fatto al massimo da spettatore, borbottando che le responsabilità erano di qualcun altro.
È dunque un’opera di vera e propria ricostruzione quella che dovremo affrontare. Il PNRR, in questo senso, rappresentaun’occasione gigantesca e irripetibile, che sarebbe un delitto sprecare.
La spina dorsale della nostra economia può restare a lungo la manifattura, soprattutto quella competitiva sui mercatiinternazionali, e, dunque, a questa devono essere destinate le energie politico-strategiche della Regione. Unamanifattura inserita in un sistema produttivo maggiormente equilibrato, integrando la vocazione all’export con leopportunità offerte dal ripensamento delle filiere produttive anche attraverso la riconversione green e digitale su cui sipuò fondare un nuovo modello di sviluppo che ci permetta di continuare a competere con i primi al mondo. Così come,anche per il comparto turistico il cui futuro è da coniugare con una nuova declinazione di sostenibilità.
Fa bene quindi Francesco Jori a porre l’accento sulla necessità di un nuovo patto sociale in grado di “trasformare lacrisi in ripartenza”.
Lo spazio e il tempo per cambiare ci sono ancora. Perché mai come adesso comprendiamo che il nostro futuro dipendeda quanto studio, ricerca, innovazione e talento dedicheremo alla cura della nostra terra e al futuro della nostra regione.E aggiungo una considerazione, il rilancio del Veneto passa anche attraverso un sistema di welfare capace di farsi carico dei bisogni di una società che cambia.
Il Veneto ha ancora dei vantaggi per tornare ad essere competitivo, tra questi il sistema universitario e una rete dipiccole e medie imprese altamente specializzate. Ma spetta in primo luogo alla politica investire competenze edenergie, oltre che le necessarie risorse e questo non può che nascere da quella che va considerata la parola chiave:progettazione.
Bisognerà presto sciogliere i nodi che sono venuti al pettine perché la nostra regione torni ad essere attrattiva, in primoluogo per gli stessi veneti.
Andrea Martella