Ucraina e Medio Oriente: il ruolo dell'Europa per la pace
- Partito Democratico del Veneto
- 24 nov 2023
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«Nelle grandi crisi internazionali l'Europa deve essere forte, far sentire la sua voce. Lo ha fatto a sostegno dell'Ucraina accettando il regime delle sanzioni - sapendo quale peso avevano sulle nostre economie - e anche con l'invio di dotazioni militari. Lo deve fare anche nei confronti del Medio Oriente. Purtroppo all'assemblea generale delle Nazioni Unite questo non si è visto, i Paesi europei sono arrivati divisi. Bisogna lavorare ancora molto perché l'Europa diventi un player globale. Per farlo dovrà dotarsi di una politica estera comune e una politica di difesa comune, cioè diventare un soggetto politico». Lo ha detto il presidente del Copasir, Lorenzo Guerini, in apertura dell'evento organizzato a Padova dal Partito democratico del Veneto sul ruolo che l'Unione europea per la pace.

«I prossimi mesi certamente metteranno al centro ancora di più l’Europa anche alla luce delle elezioni del prossimo 9 giugno», ha introdotto l'iniziativa la vice segretaria del Pd veneto, Monica Lotto, «ma abbiamo già visto come negli ultimi anni il suo ruolo politico sia diventato sempre più centrale e anche maggiormente percepito dai cittadini. Un’Europa che, lo abbiamo visto con il conflitto in Ucraina, deve assumere sempre più un’importante ruolo diplomatico in favore della pace.
Conflitti, a due passi da noi, quasi impensabili fino a qualche tempo fa e che vedono oggi l’emergenza umanitaria sempre più grave con un sacrificio enorme di civili, in particolare donne e bambini».

L'intervento del segretario regionale del PD, Andrea Martella
Abbiamo voluto organizzare questa iniziativa per cercare di uscire da una dimensione troppo spesso “piccola” del dibattito politico e provare a guardare agli scenari più ampi, e in continuo movimento, con i quali siamo chiamati a misurarci.
Come italiani. E come europei. Perché quello che potrà essere il ruolo e il peso dell’Europa nel prossimo futuro con ogni probabilità si sta decidendo proprio ora, nella complessa e pericolosa curva della Storia che stiamo affrontando.
Solo due anni fa potevamo ancora pensare che con la fine della Guerra Fredda nel nostro continente le guerre fossero finite.
Invece, dopo che già i Balcani negli anni Novanta avevano incrinato questa certezza, è arrivata la sciagurata invasione dell’Ucraina da parte della Russia di Putin, a farci capire che così non è.
E mentre nel primo caso si trattava di un conflitto nato dalla dissoluzione di uno Stato, ora siamo tornati allo scontro tra Stati. Uno scontro con effetti globali e gravido di minacce.
Quello del 24 febbraio 2022, infatti, è stato l’attacco sferrato da un’autocrazia non solo ad uno Stato sovrano confinante di cui non si tollerava l’indipendenza e l’autonomia, ma alle norme del diritto internazionale che regolano la nostra convivenza e ai nostri comuni valori di libertà e democrazia.
Di fronte a un attacco di tale portata, la risposta dell’Unione europea è stata netta e all’altezza della situazione: nessuna incertezza, nessuna equivalenza tra aggressore ed aggredito.
Questo è stato l’assunto di partenza e questo resta il punto fermo. Da qui la scelta, doverosa e necessaria, di sostenere la Resistenza del popolo ucraino.
Sempre da qui, la prospettiva per cui continuare costantemente a lavorare: quella di una pace giusta e duratura.
Sapendo che la via per costruirla passa inevitabilmente, come più volte ha detto il Presidente Mattarella, “da un ristabilimento della verità, del diritto internazionale, della libertà del popolo ucraino”.
In un futuro non lontano ci sarà anche un passo importante con l’adesione dell’Ucraina all’Unione: è di due settimane fa la raccomandazione della Commissione europea di avviare i relativi negoziati, insieme a quelli con la Moldavia.
Se pensiamo anche alla concessione dello status di Paese candidato alla Georgia e alla possibile accelerazione verso l’Unione dei Paesi dei Balcani occidentali, si delinea la strada di un nuovo grande allargamento.
Certo, bisognerà evitare di ripetere l’errore compiuto al tempo del precedente ingresso dei Paesi dell’Est, quando non si avanzò contemporaneamente sul piano della modifica delle regole decisionali, a cominciare dallo scioglimento del nodo capestro del vincolo dell’unanimità.
Allargamento e riforma dell’Unione, insomma, dovranno procedere insieme. E il processo di integrazione dovrà riprendere forza.
Mario Draghi lo ha ribadito recentemente da par suo nel corso di un evento organizzato dal Financial Times. È finito il modello geopolitico ed economico sul quale si è basata l’Europa dal dopoguerra: non possiamo più contare come prima sulla protezione militare degli Stati Uniti, sull’energia a basso costo della Russia e sui mercati cinesi per le nostre esportazioni.
E quindi, ha detto Draghi, “senza un’Unione più profonda, nella politica estera, nella difesa, nell’economia, l’Ue non sopravviverà se non come mercato unico”.
È stato più di un monito. È stato un vero e proprio allarme.
E d’altra parte quel discorso si è tenuto dopo quel che è avvenuto il 7 ottobre.
Il criminale attacco terroristico di Hamas contro i civili israeliani ha moltiplicato la gravità della situazione.
È un quadro mai così instabile da decenni. Le definizioni sono tante e tutte purtroppo calzanti: siamo al “caos mondiale”, viviamo in “un mondo senza ordine”, in un mondo che non “non è più bipolare, non è più unipolare, ma è a-polare”.
E se ora all’Ucraina – e alle tensioni nel Nagorno-Karabakh, nel Sahel africano e tra Serbia e Kosovo, per non parlare del Sudan, dello Yemen o della Siria – si aggiunge di nuovo il conflitto in Medio Oriente, davvero sembra materializzarsi il rischio paventato qualche tempo da Papa Francesco: quello di una “guerra mondiale a pezzi”.
Ho detto, riguardo al Medio Oriente, “di nuovo”. Ma in realtà questo è vero solo in parte. Perché rispetto alla questione israelo-palestinese così come l’abbiamo conosciuta per tutta la metà del secolo scorso fino ad oggi, credo davvero si sia entrati su un terreno molto diverso, ancora più ampio e pericoloso.
Sono d’accordo con Lorenzo Guerini: il 7 ottobre ha segnato, in questo senso, “un punto di svolta, un cambio di scala”.
Credo si debba saperlo e dirlo con chiarezza: con la causa del popolo palestinese e con la creazione di uno Stato palestinese la barbara azione di Hamas, Hamas stessa, non ha nulla a che fare. Nulla.
Ha invece a che fare con il terrorismo jiahdista, con il regime teocratico dell’Iran e con il conflitto dichiarato ai valori dell’Occidente e alla democrazia. Ha a che fare con l’esplicito obiettivo di distruggere lo Stato di Israele. E purtroppo con il terribile riaffacciarsi, sulla scena della Storia, della volontà perversa di uccidere ebrei in quanto ebrei.
Quindi ha fatto benissimo, dando un contributo importante alla chiarezza, la segretaria Elly Schlein a sottolineare che sarebbe un grave errore “confondere i palestinesi con Hamas”.
È importante che il Pd sia stato unito su questo e sulla richiesta ad Israele di esercitare il proprio diritto alla difesa rispettando legalità internazionale e diritto umanitario.
I civili di Gaza che hanno perso la vita in queste settimane dimostrano che questa è una strada che il governo Netanyahu ha difficoltà a percorrere, dopo aver fatto per anni l’errore clamoroso di pensare di poter mettere sotto il tappeto la questione palestinese e di giocare al “tanto peggio tanto meglio” indebolendo l’Anp per evitare ogni negoziato e di fatto favorendo il rafforzamento proprio di Hamas.
Ma anche il governo israeliano non è Israele e non è il suo popolo.
Israele è una democrazia e saranno i suoi cittadini a giudicare l’evidente fallimento, sul piano della sicurezza e di una vera prospettiva di stabilità, di chi li governa.
Anche ora, nel momento più buio, la stella polare deve essere quella del diritto internazionale.
Anche ora l’unica soluzione possibile, per quanto difficile e molto probabilmente lontana, resta quella che sembrò finalmente vicina ai tempi degli Accordi di Oslo: “due popoli, due Stati”.
Solo per iniziare il cammino, ci sono ostacoli che vanno rimossi.
Ma certo, oltre a rimuovere gli ostacoli servono attori geopolitici in grado di portare avanti il dialogo e il processo di pace che dovrà condurre alla creazione di due Stati autonomi, in grado di convivere uno a fianco all’altro.
E qui va detto con franchezza che l’Europa è indietro, ha dimostrato di avere molte difficoltà, molti problemi a coordinarsi e a ritagliarsi una capacità di influenza.
Dopo che la reazione di fronte alla pandemia e all’invasione russa dell’Ucraina aveva fatto sperare che davvero, come osservava Jean Monnet, sarebbero state di nuovo le crisi a “forgiare l’Europa”, le incertezze e le divisioni che abbiamo visto prima al Consiglio europeo di un mese fa e poi con il voto dissimile all’Onu tra i principali Paesi, hanno rappresentato un brusco risveglio.
È evidente che la “cassetta degli attrezzi” di cui dispone l’Unione europea non è adeguata ai tempi.
Bisogna procedere verso un’integrazione più stretta. Verso una politica estera comune e una Difesa comune europea molto più forte.
Senza dimenticare ovviamente la necessità di dotarsi di politiche di bilancio e di coesione condivise, di maggiori competenze di politica sociale e del lavoro, di una strategia energetica unitaria, di una vera e concreta solidarietà sulle politiche migratorie.
Per tutto questo saranno di estrema importanza le prossime elezioni europee di giugno 2024: dal loro esito dipenderà la possibilità o meno di dare il via ad un “nuovo inizio” europeista. Con il quale costruire un nuovo modello di cooperazione, diplomazia e autonomia strategica europea coordinata ma non subalterna agli Stati. Con il quale orientare le istituzioni europee verso un nuovo orizzonte di tipo democratico e progressista, così come è avvenuto con il Next Generation Eu.
Significa avere un’Europa che in scenari di crisi come Ucraina e Medio Oriente sia capace di parlare con una voce sola e di agire come potenza non solo ideale, ma anche concretamente politica.
Dobbiamo rigenerare la nostra ragion d’essere, l’identità del nostro essere europei.
Di certo l’alternativa è secca: se non sarà protagonista, l’Europa rischia di diventare marginale.
Ma proprio perché il contesto globale è così cambiato e in movimento, è un rischio che dobbiamo tutti contribuire ad evitare.
È la sfida che abbiamo davanti e che dobbiamo riuscire a vincere.
Bozza in attesa di revisione
Padova, 24 novembre 2023
Andrea Martella