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Sanità, il diritto alla salute sia la normalità

Il segretario regionale del PD: "Troppi cittadini non riescono ad accedere ai servizi, intrappolati in liste di attesa con tempi biblici". Medici e operatori offrono prestazioni straordinarie nonostante la Regione investa sul personale meno della media nazionale


Qualche giorno fa, il presidente Zaia, dalle colonne di un giornale, attraverso una lettera, ha commentato come un cittadino veneto sia stato “salvato in extremis dalla buona sanità”, grazie ad una delle tante prove straordinarie offerte ogni giorno da medici, infermieri, operatori socio-sanitari e personale sanitario della nostra Regione.


Non avevo e non ho alcun dubbio su questo. Sulle capacità, la competenza e la dedizione dei professionisti della sanità veneta. Ne ho decisamente qualcuno in più, invece, su chi è responsabile del suo funzionamento.


Sappiamo tutti che le persone che riescono ad accedere alle cure del Servizio Sanitario Regionale maturano un giudizio positivo riguardo la qualità dell’assistenza ricevuta. Il nodo, però, è proprio in quel “riescono”. Sono infatti molti, troppi, i cittadini intrappolati in liste d’attesa che hanno raggiunto ormai tempi biblici.


Sì, la pandemia ha avuto un peso. Ma è evidente, che se tantissime persone sono costrette a rinunciare a curarsi o a rivolgersi al privato pagando di tasca propria, che c’è un problema di fondo. E c’è l’incapacità di affrontarlo in modo adeguato.


Lo “sforzo importante” annunciato da Zaia non può risolversi in una misura come l’overbooking strutturato, vale a dire nell’aumento delle prestazioni a parità di tempo dedicato all’assistenza. Non ci vuole molto a capire quale sarebbe il risultato: pazienti che si sentirebbero solo una pratica da sbrigare velocemente e quindi insoddisfatti, medici e operatori gravati di un ulteriore carico di lavoro mentre restano uguali orari e retribuzioni, con il rischio di veder aumentare il numero di chi preferirà abbandonare il servizio pubblico.


E allora, se si elogia la “buona sanità”, bisogna essere coerenti e operare per invertire la tendenza, confermata dalla relazione annuale della Ragioneria Generale dello Stato, che da un decennio vede il Veneto spendere per il personale sanitario meno della media nazionale e ben il 5% in meno di Emilia-Romagna e Toscana.


Invece di incrementare i budget per i privati, si destinino le risorse al potenziamento dell’offerta pubblica, ad aumentare il numero dei medici di medicina generale e dei professionisti sanitari, a migliorarne le condizioni lavorative ed economiche e le prospettive.


Così facendo, non ci sarà più bisogno di sottolineare il valore di un singolo episodio. Perché davvero si approderà a quella “normalità”, rispetto alla tutela della salute, che è un diritto fondamentale dei cittadini veneti.


Andrea Martella

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