I rischi dell’autonomia differenziata nella versione “barattellum” di Calderoli
- Partito Democratico del Veneto
- 7 mar 2024
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Articolo pubblicato su lavoce.info, lacostituzione.info e su Il Sole24Ore
di Ivo Rossi e Alberto Zanardi*
Con l’avvio della discussione sul disegno di legge Calderoli alla Camera dei deputati, propedeutica ai negoziati fra lo Stato e le Regioni, l’autonomia differenziata, dopo la prima lettura al Senato, entra in una delicata fase di confronto. Recenti sondaggi hanno posto in evidenza come la maggior parte dell’opinione pubblica conosca poco o nulla della portata e degli effetti delle norme in discussione, nonostante si tratti di una questione che in alcune regioni del nord viene agitato da anni.
La rilevanza della norma, introdotta per offrire un quadro ordinato nell’attribuzione di competenze alle regioni ai sensi dell’articolo 116 della Costituzione, necessità del massimo del confronto parlamentare considerando il catalogo amplissimo di funzioni pubbliche, oggi esercitate dallo Stato, potenzialmente decentrabili a richiesta di singole Regioni: tutta la spesa pubblica, eccetto le pensioni e i servizi con forti esternalità territoriali, come la difesa e l’ordine pubblico, e la conseguente frammentazione delle competenze pubbliche che deriverebbe da un decentramento massivo e differenziato.
Una volta approvata la legge, le Regioni che lo vorranno potranno subito presentare le proprie richieste di attribuzione di nuove funzioni al governo ma limitatamente alle materie meno sensibili sul piano dei diritti civili e sociali, quelle cioè su cui il Comitato Cassese non ha rinvenuto nella legislazione vigente Livelli essenziali delle prestazioni (Lep) rilevanti. Tra queste cosiddette “materie non-Lep” ci sono settori di intervento pubblico comunque importanti come la protezione civile, la previdenza complementare e integrativa, il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario. Per la richiesta di attribuzione delle (molte) altre funzioni pubbliche decentrabili, quelle di ben maggiore rilievo sul piano dei diritti dei cittadini e della portata finanziaria, come l’istruzione, la tutela dell’ambiente, le grandi reti di trasporto o gli interventi nel campo della cultura, su cui invece la normativa attuale stabilisce standard nazionali, le Regioni dovranno attendere: a tutela della solidarietà nazionale, il governo dovrà prima, attraverso appositi decreti, riconoscere i relativi Lep e valutare in termini standard le risorse finanziare necessarie per garantirli nei diversi territori regionali secondo un processo che si dovrebbe concludere - dopo il recente rinvio introdotto dal recente decreto milleproroghe - entro la fine del 2024.
Quale giudizio si può dare dell’ormai quasi-legge Calderoli? Una valutazione corretta deve necessariamente confrontarsi con quanto stabilisce la Costituzione. L’articolo 116, terzo comma prevede un catalogo amplissimo di funzioni pubbliche, oggi esercitate dallo Stato in termini di potestà legislativa e amministrativa, potenzialmente decentrabili a richiesta delle singole Regioni, praticamente tutta la spesa pubblica eccetto previdenza sociale e i servizi forniti dallo Stato con forti esternalità territoriali, come difesa e ordine pubblico. La frammentazione delle competenze in alcuni ambiti di intervento pubblico di primaria rilevanza che potrebbe derivare da un decentramento massivo a favore di singole Regioni produrrebbe gravissime inefficienze economiche, ridurrebbe la trasparenza delle politiche pubbliche per i cittadini, renderebbe oltremodo difficili le scelte delle imprese che operano su scala sovraregionale che dovrebbero confrontarsi con assetti regolativi differenziati sul territorio. E’ chiaro che, a fronte di potenziali esiti di questa gravità, una soluzione ragionevole dell’autonomia differenziata richiederà che tutti gli attori istituzionali, Regioni e governo, guardino innanzitutto alla tenuta del Paese, evitando decentramenti massivi di funzioni e limitando le richieste a integrazioni “al margine” delle competenze già oggi regionali.
Il disegno di legge Calderoli avrebbe dovuto fissare una cornice di regole generali per assicurare un’attuazione ordinata e graduale a questo quadro costituzionale potenzialmente produttivo di grandi instabilità. Il testo iniziale presentato dal governo a marzo 2023 (vedi), decisamente snello e di natura essenzialmente procedurale, non andava molto più in là di una serie di generici auspici, lasciando indeterminata una serie di aspetti fondamentali del rapporto tra Stato e Regioni richiedenti. In particolare, per quanto riguarda il meccanismo di finanziamento delle funzioni aggiuntive, il disegno di legge si limitava ad affermare il principio che l’attuazione del decentramento asimmetrico non debba comportare maggiori oneri a carico della finanza pubblica e non comprometta le risorse pubbliche disponibili nei territori che non attiveranno l’autonomia differenziata.
Il testo approvato dal Senato, dopo la discussione parlamentare in Commissione Affari costituzionali, migliora in alcuni passaggi il testo iniziale del governo. In particolare:
riconosce al governo la potestà di limitare l’oggetto del negoziato ad alcune materie o ambiti di materie tra quelli individuati dalla Regione al fine di “tutelare l’unità giuridica ed economica” del Paese (anche se meglio sarebbe limitare le materie dell’art. 117, terzo comma con legge costituzionale);
richiede nell’avvio delle trattative per l’attribuzione delle funzioni aggiuntive di tener conto del quadro finanziario della Regione richiedente.
prevede una ricognizione annuale dell’allineamento fra risorse necessarie per il finanziamento delle funzioni di spesa devolute spesa nella Regione e andamento del gettito dei tributi assegnati alla loro copertura evitando che la Regione si possa appropriare di eventuali extra-gettiti.
Resta però un “difetto di fabbrica” che potrebbe nei fatti indebolire di molto questi aggiustamenti e produrre rischi di sostenibilità finanziaria a livello nazionale e di iniquità tra territori. La determinazione delle risorse finanziarie, umane e strumentali, da attribuirsi alle Regioni differenziate resta nel testo approvato demandato alle singole intese, e dunque a una molteplicità di atti bilaterali. Se è gioco forza che le intese definiscano le funzioni da attribuire, non lo possono essere i criteri, che invece dovrebbe essere indicati nella legge in approvazione.
Questa molteplicità di possibili letture viene poi esaltata dall’attribuzione dei compiti di attribuzione delle risorse finanziarie, umane e strumentali alle Commissioni paritetiche, una per ogni Regione, la cui composizione, per come indicato nel testo (Stato-Regione-Autonomie Locali) sembra più tripartita che paritetica. Va da sé che l’attribuzione a una molteplicità di commissioni della valutazione delle risorse da attribuire, Regione per Regione, fa venir meno qualsiasi logica unitaria che invece dovrebbe essere posta a presidio di un coordinamento trasversale sia per le Regioni che per lo stesso Stato. Il ruolo attribuito alle Commissioni paritetiche introduce un pericoloso vulnus tanto più se a queste viene assegnato il compito di valutare l’allineamento fra i fabbisogni di spesa già definiti e l’andamento dei gettito dei tributi compartecipati con conseguenti aggiustamenti delle aliquote di compartecipazione.
Infine, e indipendentemente dai contenuti del disegno di legge Calderoli, è il quadro complessivo dell’attuazione del federalismo regionale che sembra andare contro la prospettiva di un sistema ordinato e solidale di decentramento. E’ infatti difficile far funzionare il finanziamento delle funzioni aggiuntive per alcune specifiche Regioni (quelle differenziate) se prima, o quantomeno parallelamente, non viene data attuazione al meccanismo di finanziamento e perequazione delle funzioni già oggi attribuite a tutte le Regioni (federalismo simmetrico). Quel meccanismo, fatto di tributi regionali propri, compartecipazioni su tributi erariali e fondo perequativo basato su fabbisogni standard e capacità fiscali, è ancora lettera morta dalla legge sul federalismo fiscale del 2009. E, benché l’attuazione del federalismo regionale simmetrico sia prevista come “riforma abilitante” tra gli interventi del PNRR, non sembra suscitare altrettante attenzioni e passioni parte della politica come l’autonomia differenziata.
* Alberto Zanardi: è professore ordinario di Scienza delle finanze presso l'Università di Bologna, è stato membro del Consiglio dell'Ufficio parlamentare di bilancio, presidente della Commissione Tecnica per i Fabbisogni Standard (CTFS) di comuni, province e regioni.