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Peroni, sei ragioni perché gli italiani ci hanno votato contro

Un’attenta analisi del voto referendario e del giudizio sul governo dato dagli italiani il 4 dicembre da aprte di Enrico Peroni, segretario cittadino del Partito democratico di Vicenza.

Abbiamo perso. La sconfitta elettorale è stata netta e indiscutibile in tutto il Paese. Reputo che questo risultato non sia stato determinato da un’attenta analisi del testo di riforma costituzionale. Abbiamo perso perché il referendum si è trasformato in un plebiscito. A dimostrarlo l’alta affluenza e diverse indagini sugli elettori dopo il voto, in cui è emerso chiaramente come 3 elettori su 4 abbiano votato per esprimere un giudizio politico sul governo. Per quale ragione il referendum si è trasformato in un plebiscito? Qualcuno ha detto che è stata una scelta di Renzi trasformare la campagna in un plebiscito. Altri, invece, dicono sia stata la conseguenza di un percorso iniziato nel 2013 e intrinsecamente connesso con le politiche governative. La verità, probabilmente, sta nel mezzo. Portare a referendum una riforma nata dal governo che regge il Paese da 2 anni avrebbe in qualsiasi caso, con qualsiasi atteggiamento di Renzi, portato ad un voto politico. A questo è vero, però, che si aggiunge un suo atteggiamento politico fondato su una modalità “lancia in resta”. Un atteggiamento che è la cifra dell’uomo politico Renzi e che non potevamo pensare cambiasse per una sola battaglia politica. Ce ne siamo illusi per un certo periodo, quest’estate. Ma era un’illusione. Il giudizio politico ci obbliga a riflettere su questi due anni e mezzo di governo. In cosa abbiamo sbagliato? Io credo che gli errori ci siano stati. Comunicativi, con un Presidente del Consiglio con toni sempre sopra le righe e contenuti spesso tradizionali. C’è stata una discrasia tra toni e politiche. Toni populisti e politiche moderate. Le riforme fatte sono state tante e significative. Cito dal discorso di dimissioni del Premier: “una legge sul terzo settore, sul dopo di noi, sulla cooperazione internazionale, sulla sicurezza stradale, sulle dimissioni in bianco, sull’autismo, sulle unioni civili. Una legge contro lo spreco alimentare, contro il caporalato, contro i reati ambientali.” Ma aggiunto. La riforma della scuola, tanto vituperata, ha prodotto assunzioni dopo 8 anni di blocco e ha rimesso miliardi di euro in più sull’istruzione. Magari nei modi e nei capitoli sbagliati. Però le risorse i governi precedenti le avevano sempre tolte (anche i nostri). Sul tema del lavoro e dell’economia il Jobs Act, nonostante la non applicazione di parti importanti come quella sulla ricerca dell’occupazione e in particolare sulla formazione attiva (insomma la parte di sinistra della flex-security danese), ha comunque prodotto un aumento degli occupati. Quali sono, quindi, le ragioni per cui gli italiani ci hanno votato contro? Per me ce ne sono Sei. Tre imputabili al governo, due no e una più o meno.

  1. La prima, la più rilevante, è sicuramente una ripresa dell’economia troppo fiacca e troppo poco egualitaria. Su questo il governo non c’è stato abbastanza. Non c’è stato né praticamente né empaticamente, comprendendo il dramma di chi si sta impoverendo.

  2. La seconda è ovviamente il tema dei profughi. Qui il governo ha un merito indiscutibile nell’aver tenuto la barra dei diritti umani dritta. E ha un demerito indiscutibile nel non essere riuscito ad organizzare adeguatamente le politiche dell’accoglienza. Ne parleremo in Direttivo mercoledì prossimo.

  3. La terza è la rottura con alcuni mondi tradizionali del voto democratico nella seconda repubblica: dipendenti pubblici, insegnanti in primis; una parte residuale del voto operaio; una parte rilevante di voto popolare autoidentificatosi a sinistra; l’elettorato più giovane e istruito. Persone che votavano ad occhi chiusi per noi. Sostituite da un pezzo di elettorato di Forza Italia. Il problema è stato che abbiamo attirato una parte di Paese (in America li chiamerebbero i moderate conservatives) e ci siamo persi per strada un’altra parte di Paese (che chiamerei socialisti moderati). Un errore che non so come risolveremo. Drammatico, per dimensioni e per esiti.

  4. La quarta ragione non dipende da noi. È il rifiuto alla globalizzazione: no ai profughi, no al libero mercato, no all’integrazione europea. Un grande no, in parte di destra, in parte di sinistra, alla globalizzazione. Recuperare chi è convinto che la globalizzazione sia solo un danno è impossibile. È impossibile perché i nostri valori sono internazionalisti. Sarebbe negare l’idea stessa di Pd. Però quel che possiamo fare è capire che le insicurezze e le debolezze del cittadino lasciato solo di oggi non possono essere tutte derubricate alla voce di “nuovo populismo”. E alcuni dei temi mal gestiti sopra citati affondano le proprie ragioni in questo malcontento antisistemico. Da cui possiamo riscattare elettori ma soprattutto cittadini, dandogli una speranza e un obbiettivo. L’alternativa a spaccare il sistema la dobbiamo costruire noi. Io non ho soluzioni magiche, se no mi candiderei alla segreteria del Partito. Ma ho qualche idea, che passa solo dallo stare insieme a livello europeo. Perché per gestire i rapporti commerciali con la Cina per difendere le nostre imprese reputo difficile che l’Italia possa giocare un ruolo. Così come poter riuscire ad aumentare i salari medi e a difendere il nostro Stato sociale. Ma ne parleremo.

  5. La quinta ragione è l’anti-scientismo e l’anti-razionalità che si stanno diffondendo per le conseguenze nefaste delle politiche di marketing connesse ai social network e ai motori di ricerca su internet. Un tema drammatico che rischia di produrre sacche di persone con idee assolutamente false e spesso distruttive che si autoalimentano e si autocelebrano da sole, spesso isolandosi e rifiutando qualsiasi tipo di riflessione razionale, fattuale e con basi scientifiche. Internet ci sta semplificando ed è una grande opportunità. Ma ha anche due grandi lati oscuri: questo appena descritto e quello del controllo. Dibatterne sarà necessario perchè è un tema di democrazia e di qualità della vita. Ed è un tema che è fondamentale oggi. Non domani.

  6. La sesta ragione è banalmente che in un sistema tripolare se due poli su tre invitano a votare no, si perde quasi sicuramente. Ma questo non è un automatismo, dato che il polo di governo attuale alle Europee aveva sfiorato il 47%.

Ma posto che il giudizio era politico, la riforma era giusta o sbagliata? Io rimango convinto che fosse una riforma giusta perché semplificava e migliorava il sistema istituzionale del Paese, introducendo un rapporto Governo-Parlamento e Stato-Regioni che alla prova dei fatti si sarebbe dimostrato più efficace. La riforma, però, allo stesso tempo, non l’ho mai reputata determinante per le sorti del Paese come una parte della nostra – opportuna e legittima – propaganda ha fatto. Era una riforma giusta e importante, ma non determinante. Il Paese si è sviluppato con una Costituzione che, con tutte le sue pecche, ha comunque garantito continuità alla democrazia liberale per 70 anni. In altre parole, il voto referendario negativo non ha prodotto un disastro economico come è stato, per esempio, con il referendum sulla Brexit. È stata un’occasione mancata, non un salto nel vuoto. Un salto nel vuoto sono state, invece, l’elezione di Trump ma soprattutto la Brexit e, nel 2015, il voto contro la libera circolazione di cittadini europei in Svizzera. I problemi legati al rifiuto della globalizzazione, come dicevo, hanno inciso in questo referendum, ma in maniera minoritaria. E, quindi, non inserirei questo referendum in uno di quelli in cui ha vinto il nuovo populismo di destra. Qui c’erano altre ragioni. Lo si vede anche dall’analisi sui voti. Brexit, Trump, elezioni presidenziali austriache, referendum sui migranti svizzero: in tutti questi i giovani hanno votato liberale e gli anziani conservatore; i ceti più istruiti liberale e i meno istruiti conservatore. Da noi è stato l’opposto. Questo aspetto, del voto giovanile e istruito, è particolarmente negativo e ci deve far riflettere sulla nostra base elettorale. Riallacciare i fili con loro è essenziale per una forza che vuole dirsi di sinistra e liberale. Sono profondamente convinto che tra i tanti NO ci siano tanti giovani di sinistra, giovani liberal, giovani che credono nelle stesse cose in cui crediamo noi. E che, in fondo, le riforme del cuore del governo che prima ho elencato, le abbiano condivise tutte. E per quale ragione hanno espresso un voto contro così netto? Perché non vedono futuro? In parte si. Ma soprattutto perchè, a mio parere, non si sono sentiti accompagnati dal e nel progetto renziano. Un progetto che, per la fascia giovanile, è stato visto come troppo appartenente ad una piccola elite giovanilista  e non giovane, entusiasta, bella, bellissima e gioiosissima. Ma non sono i nostri giovani. Non sono i 1000 euro al mese che molti di noi prendono. Non sono le fatiche per fare su famiglia. Questo non significa che tutti quelli che fanno fatica ad arrivare alla fine del mese non ci votano. Anzi, ne conosco tanti che ci votano e non vivono certo nell’agio. Ma evidentemente la maggioranza non ci vota. E dobbiamo capire le ragioni e trovare soluzioni. Anche qui, ne va della nostra identità riformista. A livello nazionale ora auspico che si possa, nel corso del 2017, trovare un primo ministro che con la stessa maggioranza parlamentare attuale, porti avanti in gran parte le stesse politiche portate avanti fino ad ora, che completi le tante leggi che stiamo ancora discutendo e che pensi molto a come riannodare i fili con i nostri elettorati storici e a porsi concretamente i temi della disuguaglianza e dell’impoverimento della classe media. E che si comporti in maniera umile. Molto umile. Così forse nel 2018 potremo rimanere il primo partito del Paese, cosa che siamo ancora in tutti i sondaggi. In questo contesto reputo che la legge elettorale debba essere cambiata. Spero si torni al proporzionale, perché il proporzionale assorbe i populismi, un sistema che porta a due scelte secche dà più opportunità ai populisti. Se questo significa grosse koalition per 20 anni, pace. Ormai la sfida in Europa non è più tra socialdemocratici e cristianodemocratici. In quasi tutti i Paesi governano insieme. O, se non governano insieme è perché sono riusciti a moderare un partito radicale alla loro destra o sinistra.

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