La riflessione di Ivo Rossi e Alberto Zanardi pubblicata dal Sole 24 Ore
La discussione alla Camera del disegno di legge Calderoli sull’autonomia differenziata, dopo la sua approvazione in prima lettura al Senato, è probabilmente l’ultimo appello per correggere alcune rilevanti criticità della norma-quadro.
La versione licenziata dal Senato, sicuramente migliorata rispetto allo scarno testo presentato inizialmente dal governo, evidenzia una serie di nodi problematici ancora irrisolti che riguardano – insieme alla marginalità del ruolo del Parlamento, alla difficile revocabilità delle intese, all’assenza di condizionalità nelle richieste di maggiore autonomia, alla mancanza di indirizzi circa il trasferimento delle materie non-Lep - il finanziamento delle funzioni pubbliche potenzialmente devolvibili alle Regioni.
La prima criticità concerne le modalità di finanziamento delle cosiddette funzioni Lep, cioè quelle per cui la normativa vigente prevede standard di prestazioni che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale (si pensi all’istruzione, alla tutela dell’ambiente, alle grandi reti di trasporto). E’ necessario correggere radicalmente l’approccio attuale del disegno di legge Calderoli che affida a ogni singola intesa i criteri di determinazione delle risorse finanziarie e a Commissioni paritetiche Stato-singola Regione (ad autonomia differenziata) l’attuazione operativa di tali criteri, anche nella dinamica temporale. Ne deriverebbe un assetto di tipo “balcanico”, che ricalca tale e quale quello delle Regioni a statuto speciale, i cui Statuti sono però approvati con legge costituzionale.
L’attuazione del complesso meccanismo di finanziamento delle funzioni Lep – in cui dovranno essere determinati i fabbisogni standard su funzioni potenzialmente diversificate tra le varie Regioni richiedenti, valutati i gettiti delle compartecipazioni utilizzate per il loro finanziamento, verificato l’allineamento tra gettiti e fabbisogni standard, monitorata l’effettiva erogazione dei Lep sui territori – richiede invece un forte coordinamento nazionale. Affidare questi compiti a un unico comitato nazionale, in cui partecipino lo Stato e tutte le Regioni differenziate, eviterebbe quanto meno sfasamenti nei tempi e nei metodi di calcolo e di monitoraggio, anche tenendo conto che fabbisogni standard e monitoraggio dei Lep si applicheranno a tutti i territori, compresi quelli in cui queste funzioni resteranno pienamente nella competenza dello Stato.
Un altro nodo critico riguarda il finanziamento delle funzioni non-Lep, quelle per le quali la legislazione attuale non ha stabilito dei Lep, che comprendono anche ambiti rilevanti in termini di risorse finanziarie coinvolte. Il testo attuale del disegno di legge Calderoli prevede soltanto che le risorse corrispondenti siano determinate inizialmente sulla base della spesa attuale erogata dallo Stato nel territorio della singola Regione richiedente. Nulla dice invece sulle modalità di revisione di tali risorse nel tempo. Secondo quali criteri evolveranno? Chi li applicherà? Come evitare che si generino degli extragettiti dai divari tra la dinamica delle compartecipazioni attribuite e le necessità di finanziamento? Questioni rilevanti che non trovano risposta nella formulazione attuale. Si potrebbe pensare di far evolvere le risorse da assegnare a ciascuna Regione richiedente e per ciascuna funzione non-Lep con la stessa dinamica della spesa dello Stato per tali funzioni nei territori che restano sotto la sua competenza. Sarebbe questo aggancio a offrire una misura del fabbisogno standard nel caso delle funzioni non-Lep.
Un’ultima questione riguarda la questione dell’assenza di autonomia tributaria collegata alle richieste di autonomia differenziata. Nel dibattito si è spesso evidenziato come l'autonomia differenziata non sia vera autonomia perché il finanziamento delle funzioni aggiuntive è affidato a compartecipazioni su gettiti di tributi statali riferibili a questi territori, su cui le Regioni non hanno alcuna possibilità di manovra e quindi alcuna responsabilizzazione di fronte ai propri cittadini-contribuenti.
Non si può che essere d’accordo. Ma la questione è: come si potrebbe operare altrimenti? E’ ovvio che non è pensabile ricorrere a tributi propri regionali per finanziare funzioni differenti in regioni diverse. In realtà sarebbe opportuno, in fase emendativa del disegno di legge Calderoli, cancellare del tutto il collegamento tra finanziamento delle funzioni aggiuntive e compartecipazioni che, con aliquote riviste nel tempo per garantire l’allineamento tra gettiti e fabbisogni standard, sono di fatto dei “trasferimenti mascherati”. Si guadagnerebbe in trasparenza se si affidasse il finanziamento delle funzioni aggiuntive a “trasferimenti speciali” dal bilancio dello Stato evitando così il rischio di ingiustificate attribuzioni di quote di tributi erariali alle Regioni richiedenti.
L’ambito dove riconoscere una vera autonomia tributaria alle Regioni non è quello dell’autonomia differenziata, ma quello del finanziamento delle funzioni già oggi assegnate a tutte Regioni (come sanità, componenti dell’assistenza, dell’istruzione, del trasporto pubblico locale). E’ nel cosiddetto “federalismo fiscale regionale” che vanno attribuiti alle Regioni tributi propri significativi e manovrabili. Peccato che la riforma fiscale, al di là delle enunciazioni di principio, abbia finora soltanto annunciato il “superamento” dell’Irap, principale tributo regionale, senza specificare con quale nuova imposta sostituirla in grado di rafforzare l’autonomia tributaria delle Regioni.
Ivo Rossi
Alberto Zanardi
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