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Guerra, migrazioni, energia. Le sfide dell'Europa e il ruolo del PD

La relazione del segretario regionale Andrea Martella all'iniziativa organizzata dal gruppo S&D

Mai avremmo immaginato che dopo la pandemia ci saremmo trovati ad affrontare un’altra curva pericolosa della Storia come quella iniziata con la sciagurata invasione russa dell’Ucraina.


Di nuovo il fragore delle armi nel cuore dell’Europa. Dopo che per oltre settant’anni proprio l’idea di Europa, quella di De Gasperi, di Schuman, di Adenauer, di Altiero Spinelli, è stata l’antidoto più forte a egoismi e nazionalismi.


Dopo che tante generazioni di europei sono nate e cresciute, come ha ricordato il Presidente Mattarella il 4 novembre, in un Continente che sembrava aver cancellato la parola guerra.


Dal 24 febbraio scorso, in Ucraina invece si combatte e si muore. Una vicenda tragica, che ci ha messo di fronte ad una dura realtà: la sicurezza e la pace sono beni comuni da difendere ogni giorno, perché non sono scontati, non sono acquisiti una volta per tutte.


Di fronte alla follia di un autocrate come Putin, che arriva a minacciare l’uso di armi nucleari, la risposta non può che essere, allo stesso tempo, ferma e saggia.

Nessun passo indietro sulle sanzioni. Nessun cedimento di fronte all’uso del gas come arma di ricatto. E insieme ricerca con ogni mezzo della strada per raggiungere una pace che però non va assolutamente confusa con la resa dell’Ucraina.


Si dia protagonismo alle diplomazie e al dialogo, si avvii un negoziato che veda un ruolo forte dell’Unione europea. Partendo da un punto fermo: il primo passo non può che essere il cessate il fuoco delle forze russe.

Perché non esiste libera convivenza senza giustizia. Perché non può dirsi pace quella che veda un popolo ancora occupato e i valori della democrazia liberale minacciati.


È sempre un bene, scendere in piazza e manifestare a favore della pace. L’importante, in questo caso, è che siano chiari i presupposti. Quelli indicati con chiarezza ancora una volta dal Presidente Mattarella, quando dice: “La pace è urgente e necessaria. La via per costruirla passa attraverso il ristabilimento della verità, del diritto internazionale, della libertà del popolo ucraino”.


Va quindi respinto quel sentimento che fa dire a qualcuno: “Ma in fondo a noi cosa importa di quel che succede in Ucraina. Che la Russia si prendesse quel che vuole, l’importante è che non ne risenta la nostra quotidianità”. O anche la premessa ipocrita di chi affronta la questione affermando: “Sì, la Russia ha sbagliato ma…”.


No. Ripudiare la guerra non vuol dire voltarsi dall’altro lato o essere minimamente equidistanti. Desiderare la pace non vuol dire accettarne una che non sia giusta, che veda calpestato il diritto alla propria libertà di un popolo intero e minacciati i valori della democrazia.

Mentre si sente parlare con assurda leggerezza di ricorso all’atomica, bisogna riflettere sull’enorme rischio che il virus della guerra possa diventare pandemico. È d’obbligo osservare con attenzione, a tal proposito, quel che si sta muovendo nei Balcani: le crescenti tensioni tra Serbia e Kosovo sono un pericoloso campanello d’allarme.


Per questo la ricerca di una soluzione diplomatica deve riprendere vigore.

La riconquista di territori da parte degli Ucraini è un buon viatico per arrivare a trattare una pace che altrimenti sarebbe stata una resa.


Anche il risultato delle elezioni americane di Midterm può servire allo scopo, perché è impossibile non considerare quanto l’isolazionismo trumpiano sarebbe un problema enorme per il mondo occidentale.

In questo percorso l’Europa deve far sentire la sua voce.

Non solo sul piano diplomatico, ma anche per fronteggiare le pesanti ricadute economiche e sociali che la guerra ha provocato.

Molti dei nostri problemi nascono proprio da qui: la questione energetica e il caro bollette, migliaia di aziende a rischio chiusura e milioni di posti di lavoro in pericolo, lavoratori e pensionati alle prese con una fiammata inflazionistica che sta bruciando il loro potere d’acquisto e famiglie che faticano ad arrivare alla fine del mese. Di fronte a tutto questo, né il nostro, né nessun altro Paese, può pensare di far da solo.


Le risposte non possono che essere comuni, a livello europeo. Il pacchetto di misure approvato poche settimane fa grazie soprattutto alla spinta del premier uscente Draghi, in pratica il suo ultimo atto, va nella direzione giusta, fissando la creazione di un corridoio per il prezzo del gas, il disaccoppiamento rispetto al prezzo dell’elettricità e la necessità di avere strumenti comuni per affrontare e mitigare il rincaro dei prezzi dell’energia.


Un risultato faticoso ma importante, che adesso va declinato. Il governo italiano deve proseguire, per non disperdere questi passi in avanti.

Le istituzioni europee, da parte loro, hanno ancora molto da fare per superare gli egoismi nazionali, che sono ancora forti.


È l’Europa nel suo insieme che deve liberare risorse per un nuovo “Recovery energia” capace di garantire maggiore autonomia energetica, che deve rifinanziare il fondo Sure per sostenere il lavoro e definire strumenti di protezione sociale delle persone, che deve varare una global minimum tax che faccia pagare il giusto alle grandi multinazionali.


Dopo di che, allargando lo sguardo, va modificata l’architettura istituzionale europea, dando un ruolo più ampio a Commissione e Parlamento e superando finalmente quella regola dell’unanimità che ci rende vittime di veti minoritari e spesso estremistici.


Va stabilizzato il Next Generation, per una svolta che acceleri il completamento dell’integrazione economica, sociale e politica e consolidi il ruolo del lavoro e della coesione nel modello comunitario.


L’Europa deve cambiare pelle, inserendo nel proprio codice genetico non più solo standard legali, tecnici e finanziari, ma anche e soprattutto sociali. Soglie minime di sostenibilità, inclusione, sicurezza e dignità del lavoro a cui ogni azienda, ogni intesa transnazionale, ogni zona di libero scambio, ogni accordo commerciale, deve sottostare.


Vanno poi costruite una politica estera e una difesa comuni, con stanziamenti condivisi, in grado di rappresentare gli interessi dell’Unione e di perseguirli in modo coerente, autonomo e complementare rispetto all’Alleanza Atlantica. Essere alleati significa anche portare il proprio contributo. E il nostro contributo è quello di essere una piattaforma efficace nel Mediterraneo, frontiera verso il Sud del mondo e verso Est.


A questo proposito, è chiaro che serve una politica di integrazione nuova, che promuova ingressi legali e modifichi in modo solidale il Trattato di Dublino.

Il tema immigrazione riguarda una questione epocale che va governata, non usata spregiudicatamente prima per guadagnare facili consensi e ora per mascherare l’incapacità di affrontare i problemi veri del Paese, come dimostrato dalla vera e propria cortina fumogena alzata non solo sulla pelle dei disperati sulle navi nel porto di Catania, ma anche con l’innalzamento del tetto sui contanti, con il pasticciato e pericoloso decreto “anti-rave” e con le prese di posizione volte a blandire i no vax.


Noi, come Partito democratico, abbiamo la possibilità di svolgere un ruolo importantissimo, dall’opposizione, anche e soprattutto su questi temi.

Per evitare che il paese deragli dalla sua Storia. Per incalzare il Governo nella ricerca delle giuste misure per rispondere all’emergenza economica e sociale. Per mantenere salda la posizione dell’Italia nel cuore dell’Europa e delle sue alleanze strategiche, proseguendo nella ricerca della strada che dovrà condurre alla pace, una pace giusta.



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