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Renzi è una risorsa per il Paese, ma impari dai propri errori

L’analisi del voto referendario da parte di Paolo Giaretta: le bugie del fronte del no allo scoperto, ma la forza di Renzi va messa a disposizione di un approfondimento culturale e politico e deve recuperare la freschezza delle sfide iniziali

Naturalmente, sono bastati pochi giorni per rendere evidente l’impostazione bugiarda del variegato ma vincente fronte del no. Che con il no non sarebbe successo niente di grave, si sarebbero semplicemente create le condizioni per una nuova legge elettorale e per un tavolo di tutti i politici di buona volontà per fare in quattro e quattr’otto una condivisa riforma della Costituzione. Nulla di tutto questo. Solo la durezza di una incipiente campagna elettorale sulla pelle del paese. Forse (dipenderà dalla sentenza della Corte) l’intesa su una legge elettorale che dia rappresentanza a tutti, frammentazione del sistema politico, preparazione alla eterna ingovernabilità. Tutti contro il grande sconfitto, il PD. Perché la vittoria è soprattutto di Grillo e la sconfitta è del PD, di tutto il PD, anche di quelli che hanno votato no, a cui nessuno pensa di riconoscere la qualifica di vincenti, nonostante i grotteschi festeggiamenti. Un governo più debole di quello di prima, con l’onere comunque della governabilità e di reggere di fronte alle scadenze ricordate dal Presidente della Repubblica. Penso che sia chiaro che il tema non è un trionfale ed immediato ritorno di Renzi al centro della scena politica, per il quale mi sembra non sussistano le condizioni. Il tema è far vivere il PD, come pilastro necessario di una iniziativa politica riformatrice, in crisi in tutta Europa. Se cadesse il pilastro italiano tutto il fronte progressista europeo sarebbe in grave arretramento. Renzi può essere ancora una risorsa per il PD, può guidare una nuova stagione? Secondo me sì. Ad una condizione: che abbia voglia di imparare dagli errori, che recuperi la freschezza delle sfide iniziali. Che dimostri la necessaria maturità politica. Il clima non è quello di una commedia leggera di cui è protagonista l’attor giovane. È piuttosto quello di una severa tragedia, in cui si scontrano sentimenti forti ed agitati. Purtroppo la formazione del Governo non depone a favore di questa ipotesi. Se lasci il governo lo lasci davvero. E lasci libero il tuo successore nelle scelte. Ritengo un errore grave mettere la Boschi, anch’essa grande sconfitta, al cuore di palazzo Chigi allontanando l’ottimo De Vincenti, più defilato politicamente, che ha dato in un ruolo così delicato ottima prova di sé. O pretendere che Lotti sia l’occhiuto controllore di Gentiloni su partite di potere. Se si è convinti della propria forza il potere va lasciato davvero. In questa materia la credibilità cammina sul filo del rasoio. Se no restano solo gesti di ingannevole immagine. I severi editoriali di Calabresi su  Repubblica e di Mieli sul Corriere dovrebbero far riflettere. Dunque: basta solitari personalismi. L’uomo solo al comando non ha prodotto un dividendo adeguato. “Non pensavo che mi odiassero tanto” ha confessato Renzi. Non si tratta di odio, semmai di delusione. E di una reazione ad una pervasiva presenza mediatica che tutta giocata su di sé ha portato alla saturazione. Nella prima repubblica capitò anche ad Amintore Fanfani, presidente del Consiglio e Segretario della DC: infaticabile attivismo, alta opinione di sé, presenza debordante. Anche allora gli italiani si stancarono. Basta desertificazioni dei territori. Partito inesistente presidiato da fedelissimi o presunti tali. Senza elaborazione, senza riflessione, senza voglia di combattere sul territorio, pensando che l’immagine del leader possa supplire a tutto. Basta citare il deplorevole caso veneto. Infine, la grande forza comunicativa di Renzi, la sua capacità dialettica, vanno messe al servizio di una profondità di elaborazione culturale. Cavalcare la cresta dell’onda serve quando c’è un’onda di ottimismo. Ma quando a prevalere è il pessimismo, il disorientamento, la perdita di senso di sé quella parte di elettorato che non intende rifugiarsi nella semplificazione dei vari populismi si attende dalla politica serietà e profondità, l’indicazione di una prospettiva. Se abbiamo così pesantemente ceduto nel voto giovanile non è solo questione di corretto uso dei social (anche qui: chi nel partito aveva il dovere di impostare un piano ambizioso e non l’ha fatto o ha pensato che bastassero i cinguettii del capo invece di un lavoro scientifico?). È questione di contenuti, di narrazioni convincente. Perché poi dall’altra parte c’è un elettorato più anziano con minore dimestichezza con i social ma prigioniero delle narrazioni ansiogene propagate da reti televisive nazionali e locali. Tanto lavoro da fare. L’ansia di una rivincita immediata può essere una cattivissima consigliera. Consiglierei intanto una riflessione attenta su quanto scritto da Aldo Schiavone sul Corriere di ieri: le gravi fratture sociali sono più preoccupanti di quelle politiche.

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